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Daniele Menozzi (a cura di) – Episcopato e società tra Leone XIII e Pio X. Direttive romane ed esperienze locali in Emilia Romagna e Veneto – 2000

Daniele Menozzi (a cura di)
il Mulino, Bologna

Anno di pubblicazione: 2000

Oltre ad una corposa Introduzione del curatore, il volume comprende quattro ricerche puntuali: due di Alessandra Marani sulle conferenze episcopali nel progetto di Leone XIII, e due di Giovanni Vian e Marcello Malpensa sulle visite apostoliche e le pastorali in Veneto tra Leone XIII e Pio X.
Fu una fase cruciale non solo nella storia della chiesa, ma anche nella storia della società italiana. Quando nel 1878 Leone XIII salì al soglio pontificio ricevette sulle spalle l’eredità di Pio IX, che aveva contribuito a fornire l’indirizzo per una società cristianamente costituita in contrapposizione frontale verso il mondo moderno (ne furono prova il Sillabo, il dogma dell’Immacolata e le deliberazioni del Concilio Vaticano I). Il nuovo pontefice si trovò però di fronte ad un mondo in trasformazione, che richiedeva da parte della chiesa un nuovo impegno nella sfera sociale, ma anche la necessità di adattamenti.
Infatti si poneva per la prima volta la necessità di affrontare il problema della modernizzazione economica e sociale senza subirlo. Ciò avvenne mantenendo inalterate le prerogative del magistero pontificio nonché l’obiettivo che aveva animato Pio IX – la società cristianamente costituita – ma usando, e quindi ammettendo e accettando, gli strumenti della modernizzazione (la tecnica) e della modernità (l’irruzione di una società ormai costituita come opinione pubblica secolarizzata): lo spazio pubblico in cui accettare e fare proprio l’accoglimento di un mondo “altro da sé” non era però la secolarizzata società civile. Per Leone XIII accogliere la modernità significava comprenderne le dinamiche onde ricondurla poi alla sfera della riconquista cattolica come sola opzione possibile. La mobilitazione dei cattolici, in particolare, fu soprattutto una risposta al problema più scottante che la modernità pose alla chiesa cattolica, il processo culturale di laicizzazione della società.
L’associazionismo cattolico fu lo strumento di questa mobilitazione: fra i suoi obiettivi riproponeva il progetto oppositivo ad essa elaborato ancora dallo stesso Pio IX, e da Leone XIII riattualizzato. Quale dunque il discrimine fra accettazione-comprensione della modernità, e suo uso ai fini dell’intransigentismo cattolico? Fino a che punto fu governabile la modernità? È possibile estendere alla critica del pensiero il medesimo controllo operato sulle forme di sociabilità? È possibile mantenere l’ordine cristiano anche in questo frangente?
Queste le domande cui il volume tenta di rispondere; e la risposta coinvolge e tocca non solo la modernità, ma la ricaduta che la modernità intellettuale, la genesi e poi la crisi del pensiero razionale, la nascita di una borghesia intellettuale cattolica (che trovava la propria constituency soprattutto nell’essere intellettuale) ebbero sulla illusione vaticana di riconquistare al magistero papale la società contemporanea. L’enciclica Pascendi di Pio X (1907), la cui funzione censoria fu la sola risposta che la chiesa allora fosse in grado di dare, con la condanna del modernismo religioso, rivela l’incapacità di mantenere la prospettiva di ricostruzione di una società cristiana.

Simona Urso