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Davide Baviello – I commercianti e i primi anni della Repubblica (1946-1951), – 2008

Davide Baviello
Milano, FrancoAngeli, 286 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2008

Primo di due volumi dedicati dall’a. alla storia dei commercianti italiani nel secondo dopoguerra, il libro di Baviello intende ricostruire le vicende, i progetti e le speranze di un gruppo sociale nel primo lustro repubblicano, scegliendo come termine a quo la nascita della Confederazione generale italiana del commercio (poi meglio conosciuta come Confcommercio) e come termine ad quem le dimissioni del suo primo presidente, Amato Festi, un socialista riformista che tentò – anche in ragione della sua storia personale – di mediare tra le istanze tradizionalmente conservatrici degli associati e l’incertezza del futuro politico. Il saggio si muove in modo intelligente tra la storiografia, i problemi di lungo periodo (come, per esempio, la difficile costruzione dell’organizzazione degli interessi da parte della categoria oppure la battaglia contro le cooperative di consumo) e le specificità di una fase storica nella quale i commercianti cercarono di definire una propria collocazione sociale, economica e politica tutt’altro che scontata, sebbene nell’alveo di un sistema di valori e di riferimento che Baviello restituisce con precisione e in modo convincente. Tuttavia, la ricerca risente, a mio parere, di due limiti che, pur non diminuendone l’interesse e il carattere di novità, ne circoscrivono i risultati. Il primo è la scelta delle fonti sulle quali Baviello ha lavorato, esclusivamente provenienti dalla Confcommercio: relazioni annuali, atti di convegni e di congressi, articoli di giornali di categoria nazionali e locali. Documenti che delineano non una storia dell’organizzazione (perché poco ci viene detto delle sue dinamiche interne), né di un gruppo sociale (perché non viene restituito un quadro della vita, delle scelte e delle pratiche dei piccoli commercianti, che sono il vero soggetto della ricerca) bensì l’autorappresentazione di un gruppo dirigente che costruisce la propria legittimazione e definisce i tratti di un’identità collettiva, rinunciando in partenza alla modernizzazione del settore, secondo un’opzione strategica sì per il modello politico-economico della ricostruzione ma devastante per i costi socio-economici che il commercio interno ha pagato e ha fatto pagare al paese nel medio e lungo periodo. Il secondo, che appare come una necessaria conseguenza, riguarda la periodizzazione proposta. Utile se si guarda a come l’organizzazione di categoria ha operato le proprie scelte interne e politiche, mi sembra meno convincente sia sul piano dei processi sociali che i concreti commercianti vissero in quella fase storica sia per ciò che attiene a una svolta nelle loro vicende che, se sul piano politico, si concentra nelle elezioni del 1948 (quando cioè, similmente al primo dopoguerra, la possibilità di un incontro con le forze di sinistra venne meno), su quello socio-economico deve giungere assai più in là, ossia alla seconda metà degli anni ’50, quando i processi di trasformazione della società italiana misero i commercianti – e con essi anche la loro unica organizzazione degli interessi – di fronte a nuove sfide, prima fra tutte l’avvento della grande distribuzione.

Bruno Maida