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Debito pubblico e politica estera all’inizio del ’900. Luigi Luzzatti e la conversione della rendita del 1906

Pier Luigi Ballini
Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 653 pp., € 43,00

Anno di pubblicazione: 2017

Gli studiosi di Storia delle Relazioni internazionali non sempre, nei loro lavori, prendono in considerazione l’influenza che le vicende finanziarie hanno sulla politica estera dei governi. Pier Luigi Ballini, invece, pur essendo uno storico dell’Italia contemporanea, che però ha già mostrato di avere familiarità con i temi della storia internazionale, riesce ad abbattere la barriera tra studi di natura politica internazionale e quelli di matrice economico-finanziaria. Al centro del volume si ritrova la questione della riduzione del debito pubblico italiano che, sin dalla fine dell’800, opprimeva i governi che si succedettero fino alla prima decade del ’900. La riduzione del saggio di interesse pagata dall’erario ai suoi creditori, la cosiddetta «conversione della rendita», era un’operazione complessa che non poteva essere fatta se non appoggiandosi ai principali mercati stranieri, soprattutto la «piazza» di Parigi.
Protagonista di questa iniziativa fu Luigi Luzzatti, eminente economista veneziano, tra i più noti politici italiani del periodo ed erede, sia sotto il profilo politico che di visione economica, della destra storica postcavouriana. Pur non facendo parte del governo, immediatamente dopo il trattato commerciale italo-francese del 1898, cominciò a occuparsi della questione «per incarico confidenziale» (p. 13) dello stesso re Umberto I, con l’avallo del presidente del Consiglio di allora, Pelloux. Da quel momento la realizzazione del progetto, che fu seguita dal Luzzatti anche nella veste di ministro del Tesoro in diversi gabinetti, si confrontò con la più articolata transizione che stava attraversando l’Europa del riallineamento delle potenze. La questione della «conversione della rendita» divenne dunque un elemento centrale dell’azione internazionale italiana. Essa fu tra le ragioni che la orientarono verso un più stretto rapporto con la Francia. Era necessario, infatti, che Parigi fosse sicura di favorire un paese alleato e non un possibile avversario. L’a. mette bene in luce quanto questo problema finanziario abbia fatto da sfondo alla progressiva armonizzazione delle politiche estere dei due paesi mediterranei che ebbe come capisaldi gli accordi Prinetti-Barrère, la Conferenza di Algeciras, l’accordo tripartito sull’Etiopia. Quel processo che – come ha scritto Chabod – trasformò l’adesione italiana alla Triplice Alleanza in una realtà «difensiva». Ma sullo sfondo appare anche un problema di ordine generale che l’a., pur senza menzionarlo esplicitamente, mette in evidenza: l’interdipendenza tra i mercati finanziari delle grandi potenze, non solo europee, e le loro connessioni con la politica internazionale.
La gran messe di documentazione su cui si poggia lo studio, di cui c’è anche un’imponente Appendice, non disturba la lettura che rimane sempre scorrevole nonostante alcuni passaggi alquanto specialistici dedicati alle questioni finanziarie. Il libro è una dettagliata ricostruzione di una tra le più importanti iniziative di diplomazia finanziaria della storia della politica estera italiana.

Luca Riccardi