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Delia Frigessi – Cesare Lombroso – 2003

Delia Frigessi
Torino, Einaudi, pp. 426, euro 34,00

Anno di pubblicazione: 2003

A distanza di qualche mese dall’uscita della monografia di Mary Gibson (recensita sullo scorso numero dell’ «Annale») e di qualche anno dall’importante raccolta di scritti lombrosiani curata con Luisa Mangoni e Ferruccio Giacanelli, Delia Frigessi ritorna con questo corposo volume sulla controversa figura di Cesare Lombroso per approfondire il ruolo e il significato che ebbero il suo messaggio e la sua opera nel contesto scientifico e culturale del tempo. ?Lombroso come un caffè?, ironizzava nel 1892 Gabriel Tarde al terzo congresso di antropologia criminale; Lombroso che con le sue infinite provocazioni risveglia dibattiti assonnati, anima discussioni e scomoda scienziati. Lombroso che si occupa di tutto ? di reato e di pena, prevenzione e profilassi istituzionale, uomini e donne delinquenti, libero arbitrio e responsabilità (per negarle entrambe), cretinismo, pellagra, alcolismo, follia e genialità, questione meridionale, anarchia, ebraismo, spiritismo e di molto altro ancora ? facendo della sua opera una sorta di ?bottega di bric à brac? (p. XV) in cui trovano posto interrogativi e alchimie che appartengono ai più svariati campi delle scienze umane: il diritto, la psichiatria, l’antropologia, ma anche l’arte o la letteratura. In questo animato laboratorio di idee si muovono le tre parti in cui il libro è organizzato (in sedici capitoli titolati per paragrafi, ma privi di intestazione) e si sviluppa una trattazione dettagliata e problematica articolata per temi: il contesto scientifico e culturale italiano ed europeo da cui l’opera di Lombroso trova origine, il positivismo con il suo costituirsi in rapporto alla psichiatria e all’antropologia, e infine la questione criminale e i suoi molti intrecci con le scienze sociali. In questo senso il volume appare (volutamente) decentrato rispetto a quanto il titolo lascia supporre: più che una monografia su Lombroso (che farà la sua prima e fugace apparizione solo dopo molte pagine) un fitto studio sull’Ottocento che molto deve alla storia delle idee, frutto di uno sforzo di sintesi e ricostruzione davvero imponente per quanto non sempre convincente e chiara: tra tanti nomi, allusioni, rimandi e digressioni il lettore si muove con fatica, e fatica spesso a tenere il punto. Di quell’Ottocento Lombroso fu indiscusso protagonista nonostante le feroci critiche che gli furono mosse (di cui peraltro la Frigessi non dice molto) e la sua rimozione senza appello (dall’universo scientifico più che dal sentire comune), e resta uno straordinario ?seminatore ed agitatore di idee?, ?grande e fantastico? (p. 412): ecco la convinzione forte che percorre e chiude le pagine del libro, affidata al giudizio di Freud. Lombroso insomma da guardare come specchio di un’epoca, e le tante ambivalenze del suo pensiero ? di cui sono sottolineate le aperture e le potenzialità nelle pagine forse più belle del volume dedicate all’atavismo ? si caricano di significati nuovi e inaspettati se lette come contrappunti alle ambivalenze e alle contraddizioni che in quel tempo attraversavano la società italiana.

Simona Trombetta