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Democrazia insicura. Violenze, repressioni e stato di diritto nella storia della Repubblica (1945-1995)

Patrizia Dogliani, Marie-Anne Matard-Bonucci (a cura di)
Roma, Donzelli, XXIV-295 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2017

Basta scorrere una qualsiasi banca dati internazionale di storia contemporanea ma anche di scienze sociali per accorgersi come il termine «violenza» ricorra infinite volte. Per quanto la storiografia, fin dalla sua nascita, nell’antica Grecia e fin dalla sua fondazione scientifica, nel XIX secolo, abbia sempre raccontato soprattutto la violenza, colpisce come questo tema si sia imposto nell’ultimo ventennio quando, su scala globale, abbiamo assistito a una riduzione degli episodi di violenza e soprattutto di quella politica. Certo, almeno per quanto riguarda la produzione storiografica, saremmo insinceri se scrivessimo che quest’ondata di interesse per la violenza abbia offerto interpretazioni nuove: anche perché molto spesso il concetto stesso non è ben circoscritto e pensato, così finendo per essere violenza un po’ tutto.
Per fortuna questo volume collettaneo, frutto di una ricerca in collaborazione tra l’Università di Bologna, quella di Paris 8 e l’École française de Rome, la violenza la circoscrive nello spazio, essenzialmente quello italiano (anche se non mancano due contributi sulla Germania), nel tempo (il cinquantennio repubblicano) e anche nel concetto. Le curatrici e gli studiosi coinvolti si soffermano soprattutto su quella che per Max Weber era la sola violenza «legittima», quello dello Stato e dei suoi istituti. Anche la struttura del volume è ben congegnata e invece di raffrontare esperienze eterogenee la maggior parte dei saggi si concentra su due momenti della vita repubblicana: quello immediatamente successivo la fine della seconda guerra mondiale e poi gli anni ’70. Si studiano così i prefetti (Virgilio Cirefice, Gregoire Le Quang), la polizia (Patrizia Dogliani, Laura di Fabio), le carceri (Marie-Anne Matard-Bonucci).
Accanto alla violenza verticale, top-down, dello Stato, necessaria per tutelare se stesso e la comunità democratica, nel volume troviamo anche alcuni casi di violenza orizzontale: come partiti e associazioni, ad esempio, si mobilitino contro il terrorismo (Andrea Baravelli). Ovviamente non potevano mancare interventi sulla produzione legislativa, dalle «leggi eccezionali» contro i partiti comunisti in Italia e in Germania (Camilla Poesio) alla legge Reale (Luigi Chiara, Eros Francescangeli). E non di sola violenza politica si tratta; molto utili sono anche i saggi sui sequestri di persona (Alessandra Montalbano) e sul caso Scarantino (RomainLegendre). Chiude il volume una sezione dedicata alle percezioni e alle interpretazioni della violenza legittima dello Stato da parte dei partiti (il Psi, di Chiara Zampieri), della Chiesa (Guido Panvini), dei giornali («Il Manifesto», di Roberto Colozza), più un saggio sulla violenza nel cinema italiano (Giovanni Mario Ceci e Maurizio Zinni).
Il rischio era quello della dispersione, nel tenere assieme approcci metodologici e luoghi diversi. Pericolo schivato, perché il volume restituisce alla fine della lettura una impressione di compattezza che lo rende fondamentale per chi vorrà in futuro occuparsi di questo tema.

Marco Gervasoni