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Diario di Sonja. Fuga e aliyah di un’adolescente berlinese, 1941-1946

Sonja Borus
Bolo- gna, il Mulino, 210 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2018

Sonja era nata a Berlino nel 1927 e lì era vissuta con i genitori, ebrei di origine polacca, e i due fratelli. Nel 1939, dopo l’arresto e la morte del padre, la fuga sembra la sola possibilità di salvezza. Solo Sonja riesce a partire, insieme ad altre quattordici ragazze, grazie all’instancabile lavoro di Recha Freier, da anni organizzatrice dell’aliyah giovanile in Palestina. Dopo Zagabria, dove si aggregano altri profughi, tutti affidati a Joseph Indig, giovane sionista jugoslavo, i ragazzi vengono portati a Lenso Brdo, in Slovenia.
Qui Sonja inizia a scrivere. Le annotazioni sono regolari fino al 1944, poi solo spora- dici appunti. Il diario è pervaso da una malinconia struggente: «a volte mi sento così triste che per tutto il giorno non posso fare altro che pensare a questo e piangere» (p. 37). Oltre alla nostalgia c’è lo straziante dolore dell’esilio: «Di nessuno ho bisogno qui. Soltanto di una persona con cui stare insieme giorno dopo giorno nella vita. Del resto proprio in terra straniera si ha sempre bisogno di qualcuno con cui confidarsi» (p. 51).
Le pagine sono concentrate sulla quotidianità fatta di relazioni complesse con i com- pagni e di fatica con gli adulti. Emerge anche la consapevolezza che la meta è chiara: la Palestina, dove inizierà una nuova vita alla quale, pur con sforzi immani e non sempre apprezzati dai ragazzi, gli educatori cercano di prepararli. Il dramma della Shoah comin- cia però a filtrare. La mancanza di notizie si trasforma nell’attesa spasmodica della posta. «Negli ultimi tempi ho una strana sensazione, che la mia cara mamma sia stata espulsa e mandata in Polonia» (p. 92). Triste presagio poiché mamma e fratellino vengono arrestati poco dopo e deportati ad Auschwitz.
Nel luglio del 1942 Lesno Brdo diventa troppo pericoloso e i ragazzi vengono tra- sferiti a Villa Emma, a Nonantola. Anche da qui però dopo l’8 settembre sarà necessario fuggire verso la Svizzera. Brevi pennellate tratteggiano quei giorni terribili, in cui i ragazzi vengono nascosti dalla popolazione locale. In Svizzera dove Sonja passerà in vari centri di accoglienza, la prospettiva di un cambiamento si fa però più concreta: «Non riesco nep- pure più a immaginare me stessa che giro liberamente per una città e faccio compere […] Ma spero che un giorno riuscirò anche io a vivere una vita così» (p. 125).
Sonja parte nel giugno del 1946, una delle ultime annotazioni: «Io vorrei inizia- re una nuova vita per conto mio» (p.147) conferma la speranza di un inizio palingenetico dopo tante fughe.
Queste pagine sono una voce che dimostra quanto complessi fossero i percorsi in- dividuali in questi anni, fatti di paure e fughe, ma anche di progetti e speranze come conferma la bella Introduzione di Klaus Voigt. Non solo e non soprattutto dunque Villa Emma e la solidarietà, non certo abituale, di un gruppo di italiani verso gli ebrei perse- guitati – come la terza di copertina lascia intendere – ma un percorso attraverso il cuore dell’Europa molto più articolato e complesso.

Alessandra Minerbi