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Dino Mengozzi – Garibaldi taumaturgo. Reliquie laiche e politica nell’Ottocento, – 2008

Dino Mengozzi
Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 252 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il libro – una delle opere più interessanti realizzate nel quadro cronologicamente allargato del bicentenario garibaldino – si struttura attorno ad un’analisi ed un’ipotesi, reciprocamente implicate. Chiamando in causa l’immagine del taumaturgo, Mengozzi si sforza di tenere assieme l’intento scoperto da parte di Garibaldi e degli ambienti liberali e democratici di proporre un culto laico pur non istituzionalizzato con la dimensione sociale, politica e antropologica di chi vuole «toccare» Garibaldi anche solo con lo sguardo o conservare, nelle sue, le reliquie della propria militanza e fede politica. Del resto ritratti fotografici autenticati o biglietti manoscritti diventano «strumenti per produrre socialità […] che rinforza i legami fra gli adepti e il Generale» (p. 71). Se Garibaldi è allo stesso tempo leader politico, «taumaturgo» e «star», secondo l’a. «il sistema delle relazioni garibaldine, grazie alla traccia delle sue reliquie, può essere […] restituito nei suoi aspetti arcaici e moderni» (p. 14). Quella ricostruita da Mengozzi è in effetti una vicenda corale all’interno della quale la progettualità mirante a diffondere una religione politica si confronta con elementi più sfuggenti e con «destinatari» che hanno reazioni e «tempi» propri, inducendo a confrontarsi con la dimensione delle mentalità e delle sensibilità collettive.Nella seconda metà del libro viene esplicitata in modo convincente un’ipotesi suggestiva. Com’è noto, Garibaldi aveva scelto di morire a Caprera e che il suo corpo, mentre la notizia del decesso non veniva ancora resa pubblica, fosse arso in un rogo nutrito dal legno di piante aromatiche; solo una piccolissima parte delle ceneri avrebbe dovuto essere collocata vicino alla tomba delle figlie. Una scelta che indicava dunque una doppia rivendicazione di libertà rispetto alle pratiche religiose e alle possibili appropriazioni da parte dello Stato. Ma forse – sostiene Mengozzi – la decisione della sua stessa cerchia familiare e politica di disattendere le volontà di Garibaldi, procedendo al funerale ufficiale e all’imbalsamazione, impedì la realizzazione «spontanea» di un progetto assai più ambizioso alluso dal Generale nei suoi testamenti. Lo scenario del possibile descritto dall’a. è quello di un pellegrinaggio a Caprera di militanti, ex volontari, «ammiratori», a rogo appena estinto, in cui le ceneri, volutamente indistinguibili dagli abbondantissimi residui della combustione delle piante, sarebbero divenute eccezionali reliquie da portare con sé e spargere per tutta l’Italia, custodite in «“sacri” sepolcri». Con ogni evidenza «ciò avrebbe garantito a Garibaldi un vantaggio cerimoniale enorme su ogni altro concorrente alla gloria nazionale» (p. 159).Il volume di Mengozzi, che ruota attorno alla questione delle ceneri ma non si esaurisce certo in essa, mi pare possa svolgere un ruolo complementare rispetto al lavoro di Lucy Riall dedicato a L’invenzione di un eroe: contributi che assieme restituiscono due livelli e due universi facenti capo al mito di Garibaldi e alle relazioni dialettiche tra promozione, ricezione e forza mobilitante di un’immagine eroica.

Eva Cecchinato