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Domenico Rizzo – Gli spazi della morale. Buon costume e ordine delle famiglie in età liberale – 2004

Domenico Rizzo
Roma, Biblink, pp. 223, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2004

L’autore presenta una ricerca basata su fonti del Tribunale penale romano in età liberale, messe a confronto con testi giuridici e normativi. Dalla sua indagine, che mette in primo piano l’interagire di istituzioni, individui, famiglie, comunità, emerge una ?polizia dei costumi? che è frutto di relazioni pluridirezionali tra più soggetti, piuttosto che ? foucaultianamente ? di un controllo verticale che si propaghi dai vertici verso gli strati inferiori della società: tra i numerosi storici che hanno adottato un’analoga prospettiva, segnalerei Margherita Pelaja per la continuità tra le sue ricerche sulla Roma preunitaria e il lavoro di Rizzo. I comportamenti di cui si parla ? adulteri, abusi sessuali, fughe per amore, ?ratti?, pratiche ?indecenti? ?, collocabili in una zona di confine tra morale e diritto, posero ai legislatori il compito di definire i limiti tra libertà individuale e tutela della società, i rapporti tra sfera privata e pubblica, e altri aspetti non secondari della cittadinanza. Rispetto al Codice penale piemontese, introdotto a Roma nel 1871, nel Codice Zanardelli prevalse un indirizzo volto a rafforzare l’istituto della ?querela di parte? nell’ambito dei reati sessuali; rispetto al passato, comportamenti quali l’adulterio femminile e l’incesto (in gran parte depenalizzato) furono sottratti all’ingerenza del vicinato, della comunità e delle stesse istituzioni; fu strutturata in modo netto la dicotomia tra spazio privato e pubblico. Su quest’ultimo si concentrarono progetti e misure di disciplinamento. La popolazione romana dovette adattare il proprio rapporto con la ?giustizia? a norme e pratiche giudiziarie mutate, in cui venivano meno le duttili capacità di ricomposizione dei conflitti tipiche dello Stato Pontificio. Peraltro il ricorso alla querela di parte continuò ad essere connesso al grado di integrazione dei querelanti nella comunità, alle dinamiche interne alle famiglie, alle negoziazioni extragiudiziali. Era sempre presente il rischio, in sede processuale, di un ribaltamento dei ruoli in cui il querelante ?debole? finisse sotto accusa. L’opinione prevalente tra i giuristi liberali era che le istituzioni, lasciando il ?privato? alla giurisdizione paterna ? pilastro dell’ordine sociale ?, dovessero controllare e costruire lo spazio pubblico come spazio ?civile?. Da qui la perseguibilità ? d’ufficio ? di determinati comportamenti solo se fonte di scandalo. Sulla definizione di ?pubblico? si misurarono i giuristi impegnati nella elaborazione del nuovo codice: prevalse un’accezione spaziale e, pertanto, gli sforzi si concentrarono nel disciplinare lo spazio pubblico in quanto territorio fisico, imponendo limitazioni alla libertà dei corpi che al suo interno si muovevano; i casi dei cittadini puniti per aver trasgredito il nuovo regolamento municipale illustrano efficacemente la politica che fu adottata. La capacità dell’autore di muoversi contemporaneamente sul piano della storia giuridico-istituzionale e su quello antropologico e microanalitico rende questo libro molto interessante anche dal punto di vista metodologico.

Laura Guidi