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Donatello Aramini, George L. Mosse – l’Italia e gli storici – 2010

Donatello Aramini, George L. Mosse
Milano, FrancoAngeli, 269 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2010

L’opera di Mosse continua ad avere un forte influsso sulla storiografia italiana, come dimostra il volume di Aramini, incentrato proprio sulla ricezione di Mosse nel nostro paese. Il libro, seguendo la biografia intellettuale dello storico americano, analizza in modo minuzioso l’impatto delle sue ricerche sugli studiosi italiani e il giudizio espresso su di esse nell’arco di un quarantennio: dall’iniziale indifferenza alla critica, dalle prime aperture alla positiva valorizzazione, dalla fama ottenuta grazie al cultural turn alla definitiva fortuna negli anni ’90. Quello che emerge da questo lungo itinerario è proprio la particolarità del nostro paese, il più attento e ricettivo verso Mosse, il più pronto a recepirne influssi e suggestioni, ma forse anche quello meno incline a confrontarsi realmente con la sua impostazione metodologica e con il suo approccio culturalista alla storia dei movimenti politici. Insomma, Mosse è stato in Italia tradotto, letto, citato e premiato, ma non altrettanto a fondo compreso e utilizzato. Ciò non toglie che molti dei temi da lui trattati sono entrati nel dibattito storiografico, favorendo il rinnovamento degli studi sui fenomeni politici e culturali del ‘900. Aramini spiega questo rapporto ambivalente di fascinazione e scetticismo, sottolineando il peso che hanno avuto nel limitare la piena ricezione dell’opera di Mosse da un lato la storiografia marxista, con l’accusa di sottovalutare le componenti economiche e sociali, e dall’altro il suo stretto legame con Renzo De Felice, tacciato di revisionismo. A mio avviso è stato però anche lo stile di Mosse a determinarne tanto il successo che l’incomprensione. La sua capacità di affrontare questioni diacroniche, di fornire quadri generali su un’epoca, di legare politica, arte, antropologia e storia, di scandagliare l’animo umano alla ricerca delle credenze di uomini e masse ha infatti contribuito a favorirne la ricezione, soprattutto in Italia dove la storia rischia troppo spesso di dare eccessiva attenzione al particolare e allo specialismo, senza preoccuparsi di fruibilità e leggibilità. Proprio questo stile ha però anche agevolato una lettura superficiale della sua opera e un utilizzo acritico di alcune sue categorie interpretative, come quelle di «nazionalizzazione delle masse», di «brutalizzazione della politica» e di «rispettabilità borghese».Aramini delinea in modo chiaro gli effetti della cosiddetta «rivoluzione mossiana» su storici con interessi e formazione differente: da Spini a De Felice, da Gentile a Banti, da Tobia a Moro; e mostra come proprio a partire dalle suggestioni di Mosse anche in Italia si sia iniziato a indagare campi fino ad allora inesplorati: dalla storia della mentalità a quella di genere, dai miti politici alle religioni della politica. Forse sarebbe stata utile un’analisi anche a partire dall’ambito generazionale degli storici italiani e un maggior sforzo di ponderare i diversi giudizi espressi sull’opera di Mosse, che proprio grazie al libro di Aramini acquista nuova luce, perché tramite il sapiente utilizzo della corrispondenza riesce a sciogliere il fitto intreccio tra biografia e storia, tra storici e storiografia.

Lorenzo Benadusi