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Donato Antoniello, Luciano Vasapollo – Eppure il vento soffia ancora. Capitale e movimenti dei lavoratori in Italia dal dopoguerra ad oggi – 2006

Donato Antoniello, Luciano Vasapollo
Milano, Jaca Book, 350 pp., euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2006

Ho nutrito molti dubbi sull’opportunità di recensire questo volume, ma non senza qualche esitazione, ho infine ritenuto giusto presentarlo ai lettori de «Il mestiere di storico». Le mie perplessità derivavano dal fatto che il saggio di Donato Antoniello (autore di alcuni saggi sul movimento operaio) e Luciano Vasapollo (professore all’Università «La Sapienza» di Roma e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río a Cuba) rappresenta un tangibile esempio di ricostruzione storica parziale, dichiaratamente militante. Ciò fa sì che l’analisi delle vicende del movimento operaio italiano risulti, in più momenti, appannata dall’evidente ideologismo che impregna l’intero libro.Tuttavia, Eppure il vento soffia ancora ha il merito di discostarsi dalle tante pubblicazioni messe in moto dalle celebrazioni del centenario della CGIL, spesso di modesto impianto scientifico e quasi stucchevoli nella scontata benevolenza verso la principale organizzazione sindacale italiana. Un secondo merito è quello di dedicare ampio spazio all’analisi delle relazioni industriali nel periodo compreso fra la nascita del sindacalismo di base (ultimo scorcio degli anni ’70) e l’approvazione della cosiddetta «legge Biagi-Maroni» (n. 30 del 14 febbraio 2003). Queste pagine sono dense di interessanti riflessioni sulla precarizzazione del lavoro e le sue conseguenze, sul diritto dei lavoratori ad avere un «lavoro decente», sui molti paradossi creati dalla progressiva integrazione dell’economia mondiale. Con il loro libro, Antoniello e Vasapollo ricordano alla comunità scientifica ? spesso restia a misurarsi su tali argomenti, considerati troppo calati nell’attualità per poter essere indagati con seria oggettività ? che non ci si può esimere dal confrontarsi con problemi di così ampia portata.L’analisi diventa debole, però, quando gli autori si cimentano con la disamina delle vicende propriamente sindacali che riducono ad una sorta di dualismo fra il modello concertativi di CGIL-CISL-UIL ? descritto come affarista, istituzionale e corrotto (p. 234) ? e quello indipendente delle Rappresentanze sindacali di base (RdB), qui presentate come la sola arma a disposizione dei lavoratori per rispondere alla «mondializzazione neoliberista». È, francamente, un’interpretazione assai romantica del sindacalismo di base che non tiene conto di un elemento molto importante: la natura estremamente corporativa di queste organizzazioni (soprattutto ei settori dei trasporti e del pubblico impiego), le cui piattaforme rivendicative sono affollate di richieste volte ad ottenere o conservare privilegi spacciati per diritti inalienabili.È assai difficile ? almeno per l’estensore di queste poche righe ? poter concordare con gli autori sul fatto che l’emancipazione del movimento di classe, il superamento del capitalismo e la costruzione del socialismo (ammesso che tali locuzioni abbiano ancora un senso) possano inverarsi, ad esempio, attraverso le richieste corporative dei macchinisti o di alcune categorie del pubblico impiego.

Federico Paolini