Cerca

Donne di fronte alla guerra. Pace, diritti e democrazia (1878-1918)

Stefania Bartoloni
Bari-Roma, Laterza, 241 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume, che ricostruisce l’atteggiamento del primo femminismo sul tema pace/
guerra fra il 1878 e il 1919, deve molto all’accresciuto interesse per il ruolo e le scelte delle
donne nel corso della Grande guerra, finalmente manifestatosi anche in Italia. L’a., che
di quei temi si occupa da tempo, affronta la questione sulla base di una consolidata conoscenza
della storiografia, di nuove esplorazioni d’archivio (in particolare Acs e Unione
femminile nazionale) e di un’attenta ricognizione della stampa femminile.
Nonostante l’Introduzione si apra con l’affermazione, decisamente apodittica, secondo
cui «le donne italiane non invocarono la guerra», e precisi subito dopo di avere come
scopo quello di analizzare il contributo del variegato (ed elitario) universo femminista
italiano alla costruzione «di una idea di pace e di un movimento impegnato a tradurla in
realtà» (pp. V-VI), di fatto l’attenzione si concentra piuttosto sulle scelte e sui comportamenti
delle «femministe pacifiste» negli anni in cui la guerra diventa realtà: non a caso per
oltre tre quarti il volume si occupa degli anni post 1911. Il nodo del contendere è perché,
come e in quale misura le molte anime del femminismo italiano, che si intrecciarono al
movimento pacifista alimentando comitati, unioni e leghe più o meno volatili, precipitarono
poi in un diversificato ma convinto appoggio alla guerra, e in molti casi in un’ondata
di cieca intolleranza contro chiunque non la pensasse come loro.
Puntare lo sguardo sul pacifismo femminile, come aveva cominciato a fare molti
anni fa Franca Pieroni Bortolotti e come di recente hanno fatto molte altre – da Mirella
Scriboni e Daniela Rossini a Maria Susanna Garroni ed Elda Guerra –, aiuta a individuare
ancor meglio le fragilità e le aporie di quella che qui è catalogata come «cultura della
pace», ma che l’a. riconosce essersi fondata non su «una solida elaborazione» teorica, ma
su «parole d’ordine» ripetute all’infinito (p. 204) e ispirate allo stereotipo di una «naturale
avversione» delle madri alla guerra, contraddetta già nel corso delle guerre anglo-boera
e russo-giapponese, che videro le donne schierate di volta in volta dalla parte dei «loro»
uomini e del «loro» paese.
Forse, centrare l’attenzione sull’amicalità, specie per donne partecipi della «cultura
del materno», di ideologismi legati all’appartenenza nazionale e al nazionalismo (termine
radicato nell’idea di nascita), avrebbe aiutato a capire meglio alcune ragioni di fondo del
tracollo subito dal loro pacifismo e dell’entusiasmo con cui si dettero a predicare la guerra
(e non solo ad alleviare le difficoltà di chi più ne pativa le conseguenze). L’a. preferisce
insistere su espressioni come «interventismo democratico», «intransigente» o «radicale»,
e sull’importanza che l’attivismo delle femministe ex pacifiste ebbe nel potenziare un’immagine
di donna capace di muoversi in piena autonomia sulla scena pubblica (e dunque
«meritevole» di più diritti): una esperienza preziosa, certo, ma priva di conseguenze positive,
almeno in Italia, su tutti e tre i sostantivi che compongono il sottotitolo del volume,
e cioè su «pace, diritti e democrazia».

Simonetta Soldani