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Dopo il 16 ottobre. Gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944)

Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia (a cura di)
Roma, Viella, 379 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume ricostruisce le modalità della persecuzione antisemita a Roma negli otto
mesi di occupazione tedesca della capitale seguiti alla grande razzia ordinata da Himmler
il 16 ottobre 1943, che di colpo deportò a Auschwitz 1022 persone, in prevalenza donne,
anziani e bambini. Per gli storici è un compito tutt’altro che facile ripercorrere modalità
e protagonisti del successivo prolungarsi degli attacchi a una comunità ebraica devastata
psicologicamente e dispersa materialmente da quell’enorme evento traumatico, a cui diverse
radicate e confuse stratificazioni di memoria hanno poi ricondotto cronologicamente
tante altre tragedie – meno rilevanti su un mero piano quantitativo, comunque costate
altre 731 uccisioni, in questo caso soprattutto di uomini adulti – avvenute invece nei mesi
seguenti a quel rastrellamento eseguito direttamente dalle SS.
Il libro risulta una nitida panoramica sulla complessità del controllo nazista su Roma,
dei vari collaborazionismi antisemiti tra gli italiani e di molte contraddittorie ambiguità
dei residui apparati dello Stato, asserviti alla Repubblica sociale Italiana o piuttosto
agli occupanti. Segnala pure significative piste da percorrere – sia in ambito romano che
nazionale – per nuove indagini storiche su queste tematiche. Nel volume convergono diverse
ricerche storiche e sociologiche, tutte tese a fornire l’atteso quadro preciso di quegli
avvenimenti.
Il contributo più rilevante è un lungo e solidamente documentato saggio di Amedeo
Osti Guerrazzi, da cui emergono le tappe e i metodi della caccia agli ebrei romani,
con succinte biografie degli aguzzini e delle vittime. Dopo il 16 ottobre la popolazione
ebraica divenne clandestina, grazie a molti aiuti della popolazione, o di istituti religiosi
cattolici. Fino al termine del 1943, le polizie tedesche, povere di uomini e di conoscenze,
in ambiente urbano diffidente nei loro riguardi, ottennero risultati scarsi, con la cattura
di 83 ebrei. Nei primi mesi gli apparati di occupazione optarono perciò per investire di
tale compito collaborazionisti italiani, col sollecitare denunce di delatori, ben retribuite,
ma in particolare delegando incerti compiti di polizia a forze neofasciste aggregatesi sotto
la loro protezione. Le bande improvvisate di Bardi e Pollastrini, o di Koch, operarono
catture, torture e consegne ai tedeschi di diverse decine di ebrei; ma con vessazioni e
ricatti mirarono più che altro ad appropriarsi dei beni delle loro vittime, con limitati
incrementi di prigionieri. A rendere sistematici e consistenti i rastrellamenti di ebrei, dal
febbraio 1944, fu la nomina a questore dell’ex squadrista Pietro Caruso, che accanto alle
malfamate bande collaborazioniste, pure dopo la strage delle Fosse Ardeatine, mobilitò le
polizie, fino allora esitanti nel compiere arresti di ebrei.

Marco Fincardi