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Elena Cortesi – Reti dentro la guerra. Corrispondenza postale e strategie di sopravvivenza (1940-1945) – 2008

Elena Cortesi
Roma, Carocci, 198 pp., euro 19,10

Anno di pubblicazione: 2008

«La posta è preziosa come l’aria che respiriamo», scrive Nuto Revelli 54 anni dopo aver partecipato alla campagna di Russia. Preziosa perché scrivere lettere a casa, per un militare che si trova a fare i conti con la guerra, è un modo per non perdersi, per stabilire un ponte e annullare le distanze, in una sorta di terapia autoconservativa di una identità angosciata e sofferta che cerca così di riannodare i fili della quotidianità perduta e della dimensione familiare. Quella dei soldati italiani è però solo una delle diverse tipologie di corrispondenza postale prese in esame dall’a., che ha consultato presso l’Acs e l’Aussme i lasciti archivistici ? cartoline, lettere integrali e parziali trascrizioni, ecc. ? del complesso meccanismo della censura fascista (puntualmente ricostruito nelle pagine iniziali), materiali integrati con quanto emerso da alcuni studi già editi relativi ad alcune province.Facendo ampio ricorso a stralci delle missive studiate, Cortesi mostra la duplice funzione conoscitiva e preventivo-repressiva della censura, pensata dal regime come strumento per «sentire il polso» degli italiani, ma soprattutto ci spiega le strategie di risposta adottate dagli stessi, sia nei termini di una autocensura sia attraverso l’elaborazione di forme di difesa e reazione: se da un lato il lessico e la sintassi si fanno più criptici (il «parlare senza parlare»), dall’altro si ricorre sempre più spesso a veri e propri stratagemmi (linguaggi simbolici, parole scritte sul retro dei francobolli, utilizzo del succo di limone). Man mano che ci si addentra negli anni di guerra, infatti, gli italiani continuano a scrivere, anzi, si «a grappano» sempre di più a carta e penna, tanto che alla fine la censura non riesce a frenare la diffusione nel paese di una verità relativa al conflitto ? esterno e interno ? più reale rispetto a quella «ufficiale». I militari scrivono ai familiari, ma anche a semplici amici e alle «madrine di guerra», e proprio queste sono le missive più crude e veritiere. Caduti quegli schemi di tutela degli affetti che spingono a nascondere le sofferenze, i tormenti e le paure vissute al fronte possono essere raccontati. Scrivono anche i familiari, ai loro congiunti arruolati, per cercare di rassicurare. E sempre di più, anche in conseguenza dei flussi migratori interni tipici del conflitto, si scrive da un capo all’altro dell’Italia, e le lettere restituiscono allora le geremiadi contro il regime, contro i bombardamenti, la fame, la guerra. Traspaiono così insoddisfazione, sofferenza, preoccupazione, e anche i modi attraverso i quali si cerca di anestetizzare la realtà e i sentimenti che ne conseguono: con l’ironia e le barzellette, con la devozione e la preghiera (e le lettere sono allora strumento interessante d’indagine sulle caratteristiche della religiosità italiana in tempo di guerra), con il ricorso alla magia e alla superstizione.Il libro si rivela così interessante, avendo preso in esame un argomento poco trattato dalla storiografia. Proprio per questo avrebbe meritato delle conclusioni un po’ più robuste, in grado magari di inserire il caso italiano in un più ampio quadro continentale.

Gianluca Fulvetti