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Elena Dundovich, Francesca Gori – Italiani nei lager di Stalin – 2006

Elena Dundovich, Francesca Gori
Roma-Bari, Laterza, XVII- 211 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2006

Le autrici ricostruiscono le storie di vita e le vicende di morte di alcune decine di italiani che subirono nel corpo e nell’anima la repressione nella terra del socialismo e del comunismo, all’interno di un universo di 1.020 italiani fucilati, internati in campi di concentramento, confinati, deportati o privati dei diritti civili nell’URSS fra il 1919 e il 1951. La ricerca è basata sulla memorialistica e sulle informazioni provenienti da diversi archivi, fra i quali i più importanti sono quello della Federazione russa (GARF) che contiene le carte processuali e una parte dei fascicoli del KGB, e quello russo di storia sociale e politica (RGASPI) che contiene documenti legati al movimento comunista internazionale. Il libro fa parte di un’ampia campagna di studio e di raccolta di documenti cui le autrici sono da anni impegnate. Nei destini di ragazzi figli di «nemici del popolo», nelle tragedie di lavoratori che non capirono mai perché furono condannati a morte, nei dolori fisici e nelle ferite che colpirono la vita privata, i sentimenti e i legami familiari di comunisti e di anarchici in cerca di un’utopia, nei panorami desolanti dei campi di lavoro e di sterminio, nella prassi della tortura del KGB è contenuto il grande problema dei motivi dell’esercizio della violenza e del terrore e della eliminazione fisica dell’avversario nell’URSS. È questo il filo rosso che lega tutta la narrazione ma alla fine la domanda rimane senza risposta. Le autrici sottolineano più volte, e giustamente, il carattere assurdo, la dimensione burocratica e poliziesca delle persecuzioni, il loro collegamento con le più vaste campagne di repressione politica ma il fatto che la loro narrazione sia prevalentemente orientata verso la salvaguardia di memorie individuali finisce col lasciare nello sfondo gli attori criminali e i loro complici. Delle responsabilità e dei silenzi del PCI e di Togliatti già molto si sa, anche grazie alla Dundovich: quello che pare necessario è riflettere sull’uso politico del terrore e studiare i caratteri distintivi della repressione comunista se è vero che solo lo studio delle forme specifiche della violenza consente di articolare l’«equivalenza morale» dei crimini comunisti e di quelli nazisti e fascisti nel XX secolo. Ne ha parlato di recente in un saggio magistrale Paul Hollander (From the Gulag to the Killing Fields. Personal Accounts of Political Violence and Repression in Communist States,Wilmington, ISI Books, 2006) che, oltre a discutere in termini comparativi della repressione comunista e di quella nazista, sottolinea le differenze nell’attenzione e la selettività della reazione morale verso le atrocità del XX secolo. Il rischio da non correre è quello più volte denunciato da Tzvetan Todorov, di condividere l’«asimmetria» della reazione pubblica verso i crimini comunisti e i crimini nazisti e fascisti accettando un clima culturale nel quale l’antifascismo è un valore, mentre l’anticomunismo è sospetto. Anche per questo vorremmo sapere di più sui perpetratori, oltre che sulle vittime. Il libro ha un notevole impianto narrativo e, nonostante qualche eccesso di immaginazione combinatoria, fa piacere leggere pagine ben scritte segnate da una passione intellettuale intensa ma equilibrata.

Franco Andreucci