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Elena Fasano Guarini (a cura di) – La Provincia di Pisa (1865-1990) – 2004

Elena Fasano Guarini (a cura di)
Bologna, il Mulino, pp. 768, euro 47,00

Anno di pubblicazione: 2004

Sintomo di un risveglio di studi sulle amministrazioni provinciali, questo libro si segnala per la corposità e la profondità dell’indagine: ricostruendo per la prima volta la prassi amministrativa di una Provincia in un periodo così lungo, esso evidenzia le differenze tra le Province di età liberale e quelle del secondo dopoguerra. Il saggio di A. Polsi sull’età liberale e fascista restituisce l’immagine di un ente inteso come mezzo di decentramento amministrativo, ma anche ?luogo di formazione e di riconoscimento di una élite provinciale, di matrice liberale? (p. 77). Fu uno strumento di conservazione del ceto politico liberale, politicamente molto più statico di quello comunale, dotato di più appeal per gli amministratori che per gli amministrati; luogo cioè di insediamento di un’élite, il cui rilievo è valutabile solo riconoscendone il peso nella costruzione e nel consolidamento dello Stato. Al saggio di Polsi si collega quello di V. Fiorino sul periodo dalla Liberazione alle prime elezioni.
Vera e propria radiografia della Provincia pisana, l’opera tratta anche aspetti non sempre considerati, come i bilanci e il personale dipendente, vero motore dell’ente. Le analisi di Polsi e Di Quirico sulle finanze e i bilanci provinciali mostrano quanto delicato fosse il rapporto tra autonomia patrimoniale e capacità amministrativa.
Non meno interessanti i saggi sul secondo dopoguerra, relativi agli interventi nei campi dei trasporti (F. Benintesi), della politica ambientale (C. Torti), dell’istruzione (A. Gaudio), della cultura (M. Moretti). Si segnalano inoltre i saggi di G. Biagioli sull’economia pisana dopo l’Unità e di G.C. Falco sull’industrializzazione.
La pagine sull’immediato dopoguerra fanno luce su alcuni passaggi chiave di una fase traumatica: M. Battini ricostruisce lo sforzo dei partiti della sinistra laica e di alcuni esponenti liberali per modificare in senso autonomistico l’ordinamento amministrativo, sconfitto in sede costituente. Queste pagine e quelle sugli anni successivi sono illuminanti sul mutare del rapporto centro-periferia e della conformazione del ceto politico provinciale, connesso alla presenza dominante del partito organizzato di massa nel suo ruolo di mediazione della domanda politica e di selezione del ceto politico, qui giustamente evidenziato.
La figura del comunista A. Maccarrone, ben delineata da Battini, è paradigmatica rispetto all’emergere di un nuovo ceto politico. La sua concezione democratica della Provincia come base della tutela degli interessi delle popolazioni è lontana dall’idea liberale di separazione dell’amministrazione dalla politica, ma pure in essa trova una radice. C’è da chiedersi cioè se dietro il riformismo, l’autonomismo, l’interventismo sociale e la coraggiosa politica di spesa di Maccarrone, non permanesse una concezione del governo locale molto meno partitica di quanto si pensi, che conservava qualcosa di notabiliare, riassumibile nell’impegno per la piccola patria locale. L’autore, d’altronde, segnala opportunamente la differenza tra gli amministratori dell’immediato dopoguerra e la successiva ?leva di funzionari meno sensibili al ruolo sociale dell’autonomia locale? (p. 394).

Fabio Grassi Orsini