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Elisabetta Vezzosi – Madri e Stato. Politiche sociali negli Stati Uniti del Novecento – 2002

Elisabetta Vezzosi
Roma, Carocci, pp. 236, euro 16,60

Anno di pubblicazione: 2002

Studiosa di storia degli Stati Uniti e particolarmente attenta alle vicende delle politiche sociali destinate alle donne/madri, l’autrice ci consegna su questi temi un contributo assai denso e documentato. Frutto di una indagine cominciata molti anni fa, il lavoro è stato costruito con un largo impiego di materiale archivistico statunitense; ricco e minuzioso è l’apparato di note; ampia la bibliografia finale. Articolato in quattro capitoli, Madri e Stato è preceduto da una introduzione in cui l’autrice definisce alcuni risultati del dibattito che nell’ultimo decennio ha coinvolto storiche, sociologhe, scienziate della politica. Di questi risultati l’autrice condivide la necessità tanto di retrodatare l’origine delle misure di welfare femminile che quella di invertire i tempi marshalliani dello sviluppo della cittadinanza, sottolineando come molto spesso il riconoscimento dei diritti di tutela e assistenza di cui le donne erano destinatarie si configuravano come specifiche forme di cittadinanza sociale che anticipavano l’attribuzione dei diritti politici. Ancora nell’introduzione, ma il tema viene diffusamente sviluppato nelle pagine successive, è il ruolo avuto nelle vicende del welfare di una impostazione ?maternalista?, che mentre attribuiva alle donne, in quanto madri di cittadini americani, specifici diritti di assistenza e sostegno, subordinava questi diritti a precisi requisiti di moralità, stabilmente declinati in forme razziali.
I quattro capitoli che seguono sono dedicati alla vicenda del welfare femminile dagli anni Dieci in avanti con attenzione particolare ai caratteri generali, alle date che segnano le svolte più significative e alla leadership femminile che seppe dettare gli obiettivi e le strategie delle lotte. Il carattere di fondo che percorre tutto l’arco cronologico interessato è la debolezza dei diritti di cittadinanza femminili subordinati a criteri di moralità che troppo dipendono da una cultura ?maternalista? assai resistente. Con estrema chiarezza l’autrice segue i percorsi attraverso cui, grazie alla discrezionalità di cui godevano gli Stati, si andava creando una cittadinanza separata per genere, che rendeva gli uomini indipendenti e destinatari di diritti, mentre subordinava le donne a requisiti di moralità e ai means-tests. La discrezionalità statale nella gestione dei programmi di welfare si indeboliva a partire dagli anni Sessanta, ma riprendeva vigore negli anni Ottanta, consolidando un quadro in cui gli uomini erano i destinatari di programmi di assicurazioni sociali e le donne di misure di welfare subordinate a criteri di eleggibilità che divenivano vere e proprie forme di discriminazione e che rinviavano alla vecchia idea dei poveri meritevoli e immeritevoli. Il risultato è stato quello che nel libro viene definito un welfare state dall’universalismo ?monco?. La legge del 1996, fondata su programmi di collocazione al lavoro per madri a lungo assistite, segna certo una svolta nelle strategie di welfare statunitensi, ma per l’autrice non risolve il senso di universalismo ?monco?, e non rende evidenti le capacità del sistema di coniugare questo welfare-to-work con l’assistenza per le famiglie a basso reddito.

Giovanni Montroni