Anno di pubblicazione: 2000
Emanuela Scarpellini, studiosa attenta del fenomeno teatrale italiano novecentesco inteso come luogo di cultura nella sua accezione più ampia, tema a cui si è dedicata con pregevoli risultati in numerosi saggi e monografie, ne affronta qui un aspetto specifico: quello del teatro popolare della Società Umanitaria di Milano, esperienza unica nel panorama italiano e, come sottolinea l’autrice presente invece, in forme analoghe, in altri paesi europei specie di area tedesca. È una storia in più tempi che si intreccia fortemente con le vicende della politica nazionale: la stagione così detta “giolittiana” (per il Teatro del Popolo corrisponde alla fase d’avvio), gli anni del primo dopoguerra e quelli del fascismo fino al 1943, momento che segnò la fine di un percorso.
Il volume, che si avvale di un pregevole corredo fotografico e di una altrettanto utile e significativa appendice in cui si dà conto del repertorio di prosa e concertistico proposto, è costruito sulla ricca documentazione della Società Umanitaria, documentazione a cui Scarpellini fa ricorso costantemente e con grande equilibrio in un narrato scorrevole e di piana lettura. Tre sono i campi d’osservazione proposti: la linea politica, vale a dire l’orientamento e le finalità proprie di questo esperimento; i problemi gestionali, che implicano necessariamente anche i confronti con la classe dirigente locale e nazionale; la qualità del prodotto offerto e, di conseguenza, il rapporto non sempre lineare con le compagnie teatrali e con i grandi protagonisti del palcoscenico. Un occhio particolare, poi, è rivolto al soggetto referente di quel Teatro: il popolo inteso come la classe lavoratrice urbana che, nel teatro, coglie uno degli strumenti principali della propria emancipazione sociale e crescita culturale.
Va detto – e qui mi paiono un po’ deboli le riflessioni dell’autrice – che già nel corso dell’Ottocento, anzi ancor prima nella stagione giacobina e rivoluzionaria, il teatro era stato inteso come luogo di forte catechizzazione, di educazione e formazione politica; corretta invece la scelta di fare riferimento alle precedenti esperienze messe in campo dalle società mutualistiche e di legare la loro evoluzione al pensiero socialista. Un percorso quello realizzato dal Teatro del Popolo di qualità tale che, come sottolinea Scarpellini, il fascismo non si sentì di smantellare, ma che decise di assimilare alle sue strutture e di gestire in funzione dei suoi obiettivi politici, cercando tuttavia di limitarne l’autonomia. Il volume – come del resto la vita del Teatro del Popolo – si chiude agli anni del secondo conflitto mondiale. I drammi quotidiani toglievano alla gente la voglia di qualsiasi forma di divertimento; le incursioni devastanti dell’agosto 1943 su Milano provocarono poi lesioni materiali tali da porre definitivamente fine al Teatro del Popolo. Un’esperienza interessante, comunque, rimasta patrimonio di tanti e ripresa in altre forme, qui raccontata in un volume che merita di essere letto e discusso.