Cerca

Emilio Gentile – Fascismo di pietra – 2007

Emilio Gentile
Roma-Bari, Laterza, X-273 pp., Euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2007

Partendo dall’assunto che «l’origine e la natura del mito fascista della romanità e dell’impero» sono temi essenziali alla comprensione del fascismo, l’a. ne esplora la «vasta colata di ideologia pietrificata» che fu riversata nella capitale durante il ventennio (pp. V e VI). La trasformazione urbanistica di Roma, già oggetto di vari studi, è qui osservata nel suo intreccio di implicazioni, il cui denominatore comune è rinvenibile nell’attualizzazione del mito della romanità. Il processo seguì un’evoluzione dagli esiti non scontati. Dopo aver condiviso a lungo il giudizio sprezzante sulla capitale, simbolo di corruzione e parassitismo, Mussolini avviò il recupero della funzione mitica della romanità, riuscendo gradualmente a imporla come «la principale fisionomia simbolica del fascismo, che l’adottò per definire la sua individualità politica, la sua organizzazione, il suo stile di vita e di lotta, e gli obiettivi stessi della sua azione» (p. 43).La capitale diventò il luogo fisico e simbolico di una scoperta manipolazione dell’eredità classica, che fu svuotata di ogni richiamo libertario (presente invece nella Rivoluzione francese e nel Risorgimento) e piegata alle esigenze della Roma fascista. Tuttavia non si trattava, nell’ottica di Mussolini, di un’operazione ispirata a mera «nostalgia reazionaria» né a «venerazione reliquiaria»; bensì di uno sforzo finalizzato all’«azione politica per la creazione del futuro» (p. 48), in cui la rigenerazione monumentale era obiettivo e al tempo stesso strumento della pedagogia totalitaria. In gioco erano il rifacimento del carattere degli italiani, l’assimilazione di una moderna romanità, imperniata su disciplina, gerarchia, coscienza imperiale, vitalità della razza e virtù militare, valori capaci di affermare il fascismo quale nuova civiltà universale. Scanditi da demolizioni e sventramenti, gli interventi urbanistici (via dell’Impero, l’ara dei caduti fascisti in Campidoglio, la città universitaria e il Foro Mussolini, l’Eur e l’espansione edilizia verso il mare) avrebbero dovuto siglare anche sul piano dell’estetica politica il senso della rigenerazione totalitaria in corso, proiettando l’immagine del fascismo quale «ierofania della Roma eterna nell’epoca della modernità» (p. 193). Ciò spiega anche il ricorso insistito a canali di comunicazione – le mostre e le esposizioni (la Mostra della rivoluzione fascista, la Mostra della romanità, la progettata E42) -, concepiti come «concrete esperienze di sacralizzazione della politica» (p. 165) entro cui poter sperimentare l’incontro di arte e politica.Agile nello stile e nell’impostazione, seppure talora un po’ ripetitivo, ritmato da un’analisi costante delle immagini come fonti privilegiate, attento a cogliere le questioni di lungo periodo e gli scarti interni alla cultura fascista, il libro non si presta a una lettura superficiale: i temi affrontati, sollevando nodi cruciali rispetto all’ambizione totalitaria e alle forme dell’autorappresentazione del regime, aprono una fitta rete di rinvii a problemi di metodo e di interpretazione, tra cui quello – che meriterà ulteriori scavi analitici – volto a misurare i livelli di penetrazione e di ricezione della romanità fascista.

Massimo Baioni