Cerca

Emilio Gentile – The struggle for modernity: nationalism, futurism and fascism – 2003

Emilio Gentile
Westport, Praeger, pp. 224, $ 69,95

Anno di pubblicazione: 2003

Tra gli storici contemporanei italiani Emilio Gentile spicca per la sua attiva partecipazione al dibattito internazionale. È una spia di questa partecipazione di primo ordine il fatto che tutti i saggi compresi in questo volume sano stati pubblicati anche per la prima volta in inglese. Se ai lettori italiani di Gentile i temi dei due più vecchi di questi saggi, quello sul problema del partito, e quello sul ?mito e organizzazione? sono già ben noti, i contributi più recenti apportano delle novità sostanziali. Il tema principale, ma non unico, è quello del rapporto tra fascismo e modernità.
Gentile polemizza contro tutte quelle concezioni del fascismo che lo vedono come un ?anti-modernismo? integrale. Per lui, ed è una concezione ormai largamente condivisa da altri studiosi, l’incontro tra futurismo e fascismo non può essere ridotto a una questione di opportunismo o ingenuità politica: al contrario, il futurismo ha condiviso con il fascismo delle origini i miti dell’attivismo e della violenza creativa e non ha mai messo in dubbio i ?motivi fondamentali? dello Stato totalitario. D’altronde, Gentile mette in evidenza i pericoli di un’insistenza unilaterale sull’?esteticizzazione della politica? che può condurre a trascurare i motivi fondamentali dell’ideologia e dell’azione politica fascista. Un altro errore sarebbe di confondere le varie espressioni del ?modernismo?, spesso in radicale disaccordo tra di loro. Uno dei saggi più recenti riesamina la questione dei rapporti con «La Voce» e il futurismo. «La Voce» aveva un orientamento prevalentemente razionale ai problemi della modernità, e non aspirava a creare un ?movimento? ma piuttosto a sviluppare una ?coscienza critica? attraverso il confronto tra opinioni diverse, cosa che la rendeva profondamente estranea allo spirito ?menefreghista? del futurismo, al suo culto dell’improvvisazione e antipatia all’organizzazione. La condanna impietosa da parte di Prezzolini dei transfughi di «Lacerba», Papini e Soffici, suona addirittura profetica dei difetti dello ?spirito fascista? di fronte alle realtà della guerra moderna.
Altri saggi esplorano gli ?echi? dell’affare Dreyfus nella cultura italiana, e ?l’immagine ambivalente? degli Stati Uniti. La Francia e gli Stati Uniti in periodi diversi rappresentavano dei modelli di modernità che, però, erano criticati nel nome di una modernità italiana ?alternativa?. La critica ?moderna? al giolittismo e alla cultura democratica doveva molto agli intellettuali dreyfusards delusi come Sorel e Péguy, che denunciavano la degenerazione di una ?religione laica? verso la politica degradata dell’anticlericalsmo e della demagogia.
Nell’ultimo saggio del volume, che s’intitola Impending modernity, Gentile, benché non neghi l’importanza dell’antiamericanismo degli anni ’30, insiste che esisteva anche un ?americanismo? fascista, che ammirava il dinamismo e il forte senso di moralità collettiva degli Stati Uniti.
Questi saggi sono ricchi di osservazioni stimolanti, e confermeranno la reputazione di Gentile come il più inventivo tra gli studiosi contemporanei del fascismo italiano. Ma a mio avviso ora c’è bisogno di uno studio complementare del tradizionalismo fascista.

Adrian Lyttelton