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Enzo Ciconte – Mi riconobbe per ben due volte?. Storia dello stupro e di donne ribelli in Calabria (1814-1975) – 2001

Enzo Ciconte
Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 344, euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2001

Un’indagine sulle carte giudiziarie conservate in archivi e tribunali della provincia di Catanzaro; una sorta di cronologia topografica, in cui accanto a ogni anno sono indicati i luoghi in cui sono stati commessi i reati sessuali portati in giudizio; una bibliografia ampia, arricchita da molti studi specifici sulla realtà calabrese: Enzo Ciconte ha montato i materiali raccolti secondo finalità conoscitive e ideologiche ben precise. L’architettura è tematica, non cronologica: i casi giudiziari sono selezionati e narrati all’interno di tre contenitori. Il primo è dedicato alle donne: sempre vittime di rapporti di genere segnati dalla brutalità, prigioniere di una concezione dell’onore femminile e familiare che non lascia spazio alla percezione e all’espressione della propria individualità, bambine, giovani donne o vedove mature sono l’oggetto di una brama sessuale onnipresente e prevaricatrice. Molte tuttavia, più di quante si potesse immaginare sostiene Ciconte, hanno trovato il coraggio di denunciare gli stupratori e di rischiare un disonore perenne pur di non accettare le regole della sopraffazione; il ricorso alla giustizia è letto secondo la chiave univoca della ribellione.
Il secondo contenitore pone al centro gli uomini: gli stupratori dalla virilità fragile e incerta, che usano la violenza sulle donne come dimostrazione di potenza in una interlocuzione rivolta tutta alla comunità maschile, ragazzi e padri di famiglia, padroni soprattutto, che abusano dell’inferiorità femminile all’interno di una concezione proprietaria delle donne: i casi di stupro sono affiancati a quelli di incesto come esempi di una sessualità spavalda e prepotente. Ma anche uomini, mariti, padri e fratelli delle donne violate, che denunciano gli stupratori invece di ucciderli, dimostrando, sostiene Ciconte, un’imprevista capacità di ribellarsi agli imperativi del codice d’onore.
Infine i giudici: divisi tra la disponibilità ad accogliere le denunce femminili e la propensione, maggiore nel periodo fascista, a mandare assolti gli stupratori secondo il meccanismo ben noto che trasforma la vittima in imputata per minarne alle basi l’attendibilità.
La struttura del libro corrisponde bene all’assunto: l’intento non è di indagare sulle differenze dei contesti e dei periodi storici, ma di esibire le permanenze di mentalità e comportamenti, di celebrare una polarità tra vittime e carnefici che rimane immutata nei codici e nelle reazioni lungo almeno due secoli di storia. Due interrogativi si pongono allora allo storico che non è interessato a trovare conferme di definizioni ideologiche e aprioristiche: il codice dell’onore mediterraneo, caro agli studi di antropologia storica di alcuni decenni fa, è un tratto costitutivo della realtà sociale e culturale della Calabria, così inossidabile da rendere superfluo individuare differenze e mutamenti? E quanto è pericoloso il pregiudizio della ?correttezza politica?, che colloca ogni soggetto in un ambito interpretativo predefinito e che è tanto più ambiguo e delicato quando è un uomo che si avventura a parlare di donne e di sessualità?

Margherita Pelaja