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Fabio Vander – La democrazia in Italia. Ideologia e storia del trasformismo, prefazione di Andrea Manzella – 2004

Fabio Vander
Genova-Milano, Marietti, pp. 431, euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2004

Fabio Vander definisce questo saggio una ?critica democratica alla democrazia? (p. 11), ossia una ricerca delle ragioni dell’imperfezione della democrazia attraverso la storia d’Italia, da Cavour al 2003, e delle responsabilità che le diverse forze politiche condividono di queste imperfezioni. L’excursus viene fatto da Vander attraverso l’uso di una categoria, quella dell’?ideologia italiana? che, a suo parere, è l’unica in grado di comprendere tutte le tradizioni politiche nazionali che, fin dal 1848, ?hanno accompagnato le evoluzioni storiche di una democrazia per definizione ?zoppa’? (p. 10). Il trasformismo in Italia è stato quindi, per Vander, il sistema attraverso il quale si sono scongiurate, nel corso della storia, le crisi di sistema per evitare di fare trasformazioni più radicali al sistema stesso. Se Giolitti e, ancor di più, Croce sono senz’altro, per l’autore, tra i principali responsabili di questo stato di cose ? Croce fornendo anche gli strumenti culturali ed ideologici per tale sistema ? Vander propone però anche dei modelli positivi, degli intellettuali che hanno davvero posto a tema la cultura democratica traendone tutte le conseguenze del caso: si tratta in particolare di Leopardi, Cesare Balbo e Gramsci, ma alcuni spunti sono a suo parere presenti anche in Rodolfo Mondolfo e Ignazio Silone, grazie alla critica da loro elaborata dell’elitismo e alla ricerca delle basi per un’autonomia culturale e organizzativa delle forze politiche.
Il libro si articola in tre grandi capitoli cronologici, rispettivamente sul periodo che va dal ?connubio? di Cavour alla crisi di fine secolo, su quello che va dall’età giolittiana al crollo del fascismo, e sull’Italia repubblicana. Un quadro denso, fitto, pieno di rimandi, in cui talvolta però voci di epoche diverse ? a causa dei continui rimandi tra i protagonisti di un’epoca e quello che ne hanno detto i loro interpreti ? si intersecano un po’ troppo, dando alla riflessione un andamento che appare eccessivamente sincronico. A confermare questo senso di schiacciamento temporale, vi è anche una ricostruzione che tende a sottolineare troppo, a nostro parere, gli aspetti di continuità, dando alla storia italiana quasi un unico binario di possibilità che divengono in qualche modo sempre necessitate, cosa che appare riduttiva e un po’ troppo schematica. Questo però non toglie il fascino di una riflessione che è quella di un moralista più che di uno storico, e che mette a tema un problema di grande rilevanza politica e storiografica, quello della democrazia e delle ideologie che ne permettono lo sviluppo, oltre che dell’estremo pericolo di un pensiero elitista che di fatto impedisce una rappresentanza efficace dei cittadini e, soprattutto, un ricambio radicale delle classi dirigenti.
La conclusione offre ulteriori spunti di riflessioni in termini più generali perché l’autore ritiene che l’?ideologia italiana? abbia fatto scuola anche in Europa e nel mondo, e che nella moderna crisi della democrazia vi possa essere un rafforzamento di teorie elitistiche e di un sistema ?democratico consociazionale?, grazie al fatto che ?l’elitismo mostra capacità di adattamento [anche] all’età della tecnica? (p. 398).

Giulia Albanese