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Fascismo, Santa Sede e Cina nazionalista nella documentazione diplomatica italiana (1922-1933)

Chiara D’Auria
Soveria Mannelli, Rubbettino, 256 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume è dedicato alle relazioni tra l’Italia fascista, la Cina nazionalista e la Santa
Sede negli anni in cui mons. Celso Costantini fu delegato apostolico in Cina (1922-
1933). I primi quattro capitoli ricostruiscono la situazione generale della Cina, con l’intento
di dare un quadro storico e politico del paese e delle sue relazioni con gli altri Stati
dell’Asia orientale e con i paesi occidentali. Questa parte, basandosi su una bibliografia
ridotta e datata, risulta generica e non tiene conto dei più recenti sviluppi storiografici.
Ripete inoltre opinioni correnti non verificate come la sopravvalutazione del ruolo di
Mao Zedong nella fondazione del Partito comunista cinese (pp. 42-43) e la presentazione
della storia di Shanghai come sostanzialmente coincidente con la sola Concessione internazionale
(p. 55).
La parte dedicata all’azione di mons. Celso Costantini in Cina non aggiunge novità
rispetto a quanto già noto e risente di una scarsa conoscenza della storia della Chiesa in
Cina tanto che, in tutto il volume, Costantini è definito nunzio e non, quale fu effettivamente,
delegato apostolico. Come è noto, infatti, solo nel 1946 la Cina nazionalista
e la Santa Sede arrivarono allo stabilimento delle relazioni diplomatiche e la missione
in Cina di mons. Costantini fu tutta impostata sulla preparazione di tale risultato. Altri
riferimenti al linguaggio ecclesiale sono imprecisi: ad esempio l’uso del termine «clero
secolare» (p. 78 e p. 81) non è chiaro, così come la distinzione tra Santa Sede e Vaticano;
anche espressioni come l’«attività evangelica» di Costantini in Cina (p. 75 e p. 76) oppure
l’«opera ecumenica» dei missionari in Cina (p. 114) sono improprie.
I riferimenti più interessanti sono quelli basati sulla documentazione dell’Archivio
storico diplomatico del Mae, relativi a un certo attivismo dell’Italia per vedere riconosciuto
il proprio ruolo di «protettrice» dei missionari italiani in Cina negli anni successivi ai
Patti Lateranensi, quando Ciano era console generale a Shanghai. Il testo suggerisce che
l’opposizione della Chiesa al protettorato francese sulle missioni cattoliche in questa fase
lasciava spazio alla collaborazione con le autorità italiane. Dalla documentazione inedita
consultata emergono diversi episodi minori relativi all’azione dei diplomatici italiani nella
Cina nazionalista che vengono ampiamente descritti. A questo riguardo, l’a. opportunamente
sottolinea e documenta il clima positivo di intesa che nei primi anni ’30 si stabilì
tra la Cina di Chiang Kai-shek e la Chiesa cattolica a cui contribuì l’azione italiana.
Nel volume sono inserite otto espressioni in caratteri cinesi, senza traduzione in
italiano: oltre a non essere indicato il criterio di questa scelta, due su otto contengono caratteri
cinesi scorretti (Zhonghua Genmingdang, p. 49, e Yuan, p. 50). Problematica anche
la traslitterazione dei nomi cinesi propri di persona e di luogo che, a dispetto di quanto
dichiarato a p. 7, non seguono il sistema convenzionale pinyin.

Elisa Giunipero