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Federico Chabod e Arnaldo Momigliano – Un carteggio del 1959 – 2002

Federico Chabod e Arnaldo Momigliano
a cura e con Introduzione di Gennaro Sasso, Postfazione di Riccardo Di Donato, B

Anno di pubblicazione: 2002

Un esile dossier, ma di notevole importanza, consente ora di illustrare una vicenda già in parte nota. Attorno al testo del necrologio di Antoni steso per la ?Rivista storica italiana? da Momigliano si svolse, fra il 5 ed il 24 novembre 1959, un breve, tesissimo scambio di lettere fra Chabod, che aveva già lasciato la direzione della rivista, e lo stesso Momigliano; lettere che vengono qui integralmente pubblicate, assieme al testo del necrologio ed allo scambio epistolare allora intercorso fra Momigliano e il nuovo direttore della rivista, Franco Venturi. Oggetto della contesa, almeno in forma più esplicita, appaiono essere i caratteri dell’idealismo crociano, il suo più tardo svolgimento, e l’eredità della cultura romantica; e sulle implicazioni intellettuali di questo dibattito epistolare Sasso, nell’Introduzione (pp. 3-80), si sofferma felicemente, e con ricchezza di indicazioni. Ma come osservano lo stesso Sasso (p. 59), e Di Donato (pp. 153-161, p. 158), la discussione non riguardava la ?sola filosofia?, chiamando invece direttamente in causa quella che Chabod definiva ?la tragedia, politica e morale, dell’Italia? (p. 100), e l’emergere di una particolare rappresentazione retrospettiva di quelle vicende, che Chabod vedeva trasparire nelle asserzioni di Momigliano circa la ?nazificazione dell’Italia? (p. 89) a partire dal 1933. Chi abbia presenti le pagine delle sue lezioni parigine del 1950, con il cauto e articolato discorso a proposito del ?consolidamento del regime?, e con la sottolineatura della fase antihitleriana della politica estera di Mussolini, comprenderà bene l’irritazione di Chabod nei confronti delle tesi abbozzate da Momigliano: ?L’Italia fascista ? scriveva Chabod ? ha già sufficienti peccati e colpe, senza bisogno che gli se n’aggiungano altri? (p. 129); toccato direttamente nella propria esperienza personale e politica, egli aveva in fondo buon gioco a rammentare che ?il prof. Momigliano? fino alle leggi razziali era stato ?in Italia e in cattedra? (p. 130). Se è comprensibile il personale disagio di Sasso nei confronti di questa notazione chabodiana (p. 63), c’è da dire anche che Chabod poneva così una questione fondamentale, tante volte, in generale, elusa, e non senza danno, oltre che sul piano storiografico, su quello etico e civile (impressionanti i documenti editi in G. Fabre, Arnaldo Momigliano: materiali biografici /2, ?Quaderni di storia?, 53, 2001, pp. 309-20). Nel contesto culturale e storiografico che veniva determinandosi proprio in quegli anni Chabod, come traspare anche dal carteggio fra Momigliano e Venturi, poteva ormai essere considerato un interlocutore scomodo: quello Chabod che, replicando a Momigliano sulle inclinazioni neo-illuministiche della cultura postbellica italiana, rammentava che fra i valori illuministici andavano annoverati la politesse e lo spirito di verità (p. 133), e che marxismo e comunismo, con le ?superclassi? al posto delle ?superrazze?, costituivano in fondo ?l’antitesi più aperta a tutti i valori illuministici? (p. 125).

Mauro Moretti