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Federico Cinti – Il rettore della RSI. Goffredo Coppola tra filologia e ideologia – 2004

Federico Cinti
Bologna, Clueb, pp. 230, euro 16,50

Anno di pubblicazione: 2004

I motivi di interesse stanno tutti nel personaggio, un papirologo, grecista e latinista, in cattedra all’Università di Bologna fra le due guerre, che sviluppa, pieno di dedizione e esente da dubbi, un suo coerente itinerario di intellettuale militante del fascismo, che lo porterà con la RSI al rettorato, alla fucilazione fra i gerarchi di Dongo e a Piazzale Loreto. Più ?alta?, accademica e apparentemente riparata cultura non pareva esserci, ma il fuoco della militanza brucia anche questo erudito (1898-1945). La sua emblematicità sta in questa polarità, che dallo specialismo e dalle tecniche di antichista derivano la sua autorità e militanza di teorico della romanità e dell’Impero. Un superstite dei postulati di separazione fra la cultura, l’università e il fascismo, potrebbe tentarne un’estrema difesa sostenendo che finché Goffredo Coppola si occupa seriamente di papiri, la politica gira al largo, mentre da quando lo coglie la frenesia attivistica e pubblicistica dell’organizzatore politico-culturale, studia sempre meno e stenta persino a far lezione. Vero è che l’autore non ci dice molto sul Coppola degli anni Venti ? combattente, nazionalista, ma il fascismo? ?, suggerendo una differenziazione che appare troppo netta fra i due decenni. Ci troviamo di fronte a un personaggio del tipo dei classicisti che ventinque anni fa riscoprivano Luciano Canfora e Maria Cagnetta sui «Quaderni di storia», prevalentemente attraverso i loro esemplari tedeschi (Antichisti e Impero fascista, 1979, viene ricordato una sola volta e in generale il profilo, un po’ gracile, non mette a frutto la bibliografia critica esistente). Tre dei 4 capitoli (da p. 37 al termine) investono il quindicennio dell’impegno. In un saggio su «Civiltà moderna» (1930) Coppola riscopre Giuliano l’Apostata nobile e precoce autore di un progetto statalista e totalitario, senza i freni concordatari che purtroppo il regime si è dati. Su «Pégaso» (1932-33) attacca la riforma della scuola e dell’università, non abbastanza autoritarie, senza sudditanza verso Gentile. Il grande Girolamo Vitelli, di cui si professa alunno, gli pare additare un modello di simbiosi fra scienza e patria. La guerra d’Etiopia e il bimillenario virgiliano moltiplicano le possibilità di pedagogici corti circuiti fra ieri e oggi, l’antica e la nuova Roma. Passa anche dalla cattedra di Greco a quella di Latino per sostenere la centralità del grande Impero militare e civile di Roma, all’ordine del giorno di nuovo. Coerentemente, il suo ruolo di ?tecnico in camicia nera? cerca e trova tramiti adeguati per una comunicazione non erudita, estesa alla nuova cittadinanza dell’Italia del duce. Interessante la bibliografia (che l’autore mutua in parte da uno studio di Enzo Degani), per seguire l’assiduità con cui il papirologo va verso il popolo, distribuendo le sue schegge erudite, tradotte nel linguaggio politico dell’ora, sul «Popolo d’Italia» (dal 1934 al 1943), «Il Resto del Carlino», «Gerarchia», «Nuova Antologia» (era amico di Federzoni), «Corriere della sera» (per alcuni dei suoi più accaniti pezzi sul complotto ebraico capitalista-bolscevico, gonfi di risonanze bibliche). Ogni qual tratto, raccoglie gli articoli in forma di libro e editori non minori, Zanichelli o Cappelli, glieli pubblicano.

Mario Isnenghi