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Fortunato Minniti – Fino alla guerra. Strategie e conflitto nella politica di potenza di Mussolini, 1923-1940 – 2000

Fortunato Minniti
Esi, Napoli

Anno di pubblicazione: 2000

L’autore è uno dei pochi italiani studiosi, oltre che della politica militare dell’Italia liberale, di storia militare del fascismo, di cui da venticinque anni ha esaminato la preparazione militare. Ha, fra l’altro, documentato su fondi archivistici lo iato fra ambizioni politiche e reale preparazione bellica in termini di acquisizione di sistemi d’arma. Più di recente si è dedicato con particolare costanza all’esame della strategia militare del fascismo, attraverso lo studio accurato dei piani d’impiego elaborati da parte delle forze armate. Il volume, in parte già anticipato, è insomma uno studio di rilievo.
Molti piani (di guerra, operativi, di radunata) elaborati nel ventennio fascista andarono distrutti per ordine stesso dei comandi militari nel dicembre 1936, i quali però chiesero – prima della distruzione – che ne fossero redatte memorie riassuntive. La paziente collazione dell’autore di piani sopravvissuti, memorie e riscontri di vario tipo lo porta a dividere fra una strategia “da dopoguerra” (1923-33), da “potenza europea” (1934-36) e da “grande potenza” (1936-38); appunto “sino alla guerra” (1939-40). Con un’analisi ravvicinatissima dei documenti egli sostanzialmente convalida, precisandola, l’interpretazione defeliciana: che Mussolini e il suo regime non avrebbero avuto un’attitudine diretta e continuata verso la guerra; che una loro “propensione alla guerra” ci sarebbe stata solo nel 1934, 1938 e luglio 1939; che un possibile “ricorso alla guerra” sarebbe stato esaminato nell’autunno 1926-27, agli inizi del 1933, nell’estate 1934, nell’estate 1935, nel settembre 1937, nel settembre 1938, nell’agosto 1939 e, ovviamente, nel maggio 1940; che in tutti gli altri periodi il regime non avrebbe visto alternativa alla pace.
Al di là delle tesi dell’autore, la documentazione raccolta in questo importante studio suggerisce più spunti e giudizi sul fascismo, in termini tanto di continuità quanto di rottura rispetto all’Italia liberale. Per un verso, elemento che l’autore non sottolinea a sufficienza, anche questi piani “fascisti” come quelli “liberali” non erano sempre interforze e non andavano al di là della preparazione delle primissime mosse sul campo, lasciando ampia (troppo ampia, dopo Schlieffen) libertà al comandante in capo. Per un altro verso, si potrebbe notare che un paese che – oltre ad interventi e guerre concrete – abbia preso in esame la possibilità di ricorrere alla armi praticamente un anno sì e un anno no, al di là di ogni disquisizione, non sia poi così pacifico. Infine – ma qui la documentazione militare andrebbe integrata con quella diplomatica e ideologica-di partito – si dovrebbe osservare che l’azione di destabilizzazione dell’ordine internazionale condotta dal fascismo se talvolta non arrivò “sino alla guerra” fu solo per come altri attori internazionali vi replicarono: nondimeno si trattò di un’azione deliberata e precoce (anche se, appunto, affidata a mezzi altri da quelli militari).

Nicola Labanca