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Francesca Fauri – Il Piano Marshall e l’Italia – 2010

Francesca Fauri
Bologna, il Mulino, 283 pp, € 22,00

Anno di pubblicazione: 2010

Nessun programma internazionale lanciato dagli Stati Uniti nel XX secolo ha conosciuto una fortuna storiografica equiparabile a quella dell’European Recovery Program, il cui carattere leggendario è migrato in un luogo comune del vocabolario politico. Questo libro si inserisce in una nuova stagione di dibattito, ravvivata dal sessantesimo anniversario dell’annuncio del Piano: una stagione che – considerati anche solo i titoli recenti della pubblicistica statunitense – potremmo definire apologetica. Superato a fatica il tempo delle esegesi ideologiche, è ora in corso un lavoro di sistemazione filologica: da una parte di ciò che l’Erp rappresentò per l’Europa postbellica in termini di ricostruzione capitalistica e ricomposizione del mercato continentale; dall’altra di ciò che il Piano infuse in termini di comunità culturale, legami economici e di sicurezza tra le due sponde dell’Atlantico, contribuendo a rifondare ciò che oggi identifichiamo con l’«Occidente». All’interno di tale tendenza la storiografia italiana ha registrato più di qualche ritardo, indugiando su assiomi interpretativi trasformatisi in topoi incrollabili, e dimostrando una limitata vocazione a riconoscere i propositi del Piano: proprio come, all’epoca della sua attuazione, furono riluttanti a farlo i suoi oppositori. L’a. di questa sintesi, viceversa, si svincola con eleganza da tale sterile contesa ricomponendo in un quadro unitario i passaggi cardinali del quadriennio. In questo senso il libro rappresenta più una puntuale guida agli eventi che una nuova lettura del valore globale del programma. Se è vero che la peculiarità della vicenda italiana negli anni dell’Erp merita ancora attenzione, il grado di conoscenza oramai acquisito richiederebbe, tuttavia, uno sforzo per varcare le mura disciplinari. Fauri ha individuato assai bene molti dei temi necessari per liberare il dibattito dai luoghi comuni del «si poteva fare e non è stato fatto». Lei stessa, tuttavia, non svolge tutte le conseguenze di questo impegno anche perché sceglie di concentrarsi sulla storia economica del programma. E, all’interno di questo assunto, il suo approccio resta la narrazione evenemenziale delle conseguenze che esso ebbe sull’economia nazionale. Tuttavia, la rappresentazione della forza rivoluzionaria del Piano è efficace, così come è ben descritto il coraggio dell’establishment italiano. Ora, il punto cruciale di una sintesi che ha per oggetto l’Italia dovrebbe consistere nel chiedersi in quale misura l’efficienza e l’autonomia della classe dirigente fossero reali, e quali possibilità concrete essa avesse di collegarsi alle forze dinamiche della società, per farsi interprete di esigenze di razionalizzazione economica a lungo neglette ma connesse a necessità radicate e insopprimibili dello sviluppo economico italiano. Ma per argomenti liminali per eccellenza come questo, la narrazione soddisfa solo alcuni interrogativi: in assenza di una connessione alla trama di riferimenti alle condizioni strutturali del sistema internazionale e al dinamismo dell’amministrazione americana, anche un lavoro ben costruito come questo, rischia di scivolare nella manualistica e di apparire parziale.

Mauro Campus