Cerca

Francesca Tacchi – Gli avvocati italiani dall’Unità alla Repubblica – 2002

Francesca Tacchi
Bologna, il Mulino, pp. 596, euro 45,90

Anno di pubblicazione: 2002

E’ questo il primo studio sistematico dedicato alla storia dell’avvocatura nell’Italia unita e inaugura una collana promossa dal Consiglio Nazionale Forense. Delineando il profilo della professione, affronta la storia dell’ordinamento giudiziario e delle procedure, le questioni del gratuito patrocinio, della formazione e dell’esame di stato, degli onorari, etc. Professionalizzazione vuole poi dire anche costituzione del ceto: la legge del 1874 sugli avvocati e procuratori ? distinzione essenziale, eppure incerta ? fonda il sistema italiano delle professioni.
Tutto ruota attorno alla problematica collocazione dell’avvocatura tra il carattere per eccellenza privato della ?libera professione? e la sua dimensione ?pubblica?. Concetti questi non facili, specie quando tendano a sovrapporsi con ?libertà? e ?liberale? da un lato e con ?statale? e ?autoritario? dall’altro, distinzioni che poi si incrociano con le altre, non meno problematiche, che distinguono l’indipendenza dei singoli professionisti nella loro sfera individuale e invece la loro identificazione con il corpo, l’ordine, la corporazione, il sindacato o l’associazione professionale specializzata, a seconda dei casi. Essenziali sono qui le pagine sul fascismo, e sulla lucida tensione statalista di Alfredo Rocco.
La trattazione segue peraltro anche altri percorsi. L’autrice sottolinea ad esempio la varietà regionale di norme e tradizioni, che rallenta e a volte distorce il processo di nazionalizzazione dell’ordinamento. Oppure si sforza di dar fondamento quantitativo ai fenomeni e alle tendenze, domandandosi ad esempio quale base effettiva di consenso avesse l’una o l’altra organizzazione. Altre pagine toccano invece temi più distanti dall’asse del volume come la storia dell’università, l’apertura alle scienze sociali, la formazione dei pubblici funzionari, la questione femminile, e così via. Oltre che, naturalmente, il ruolo occupato dagli avvocati nel sistema politico.
Una varietà di temi che può risultare fin eccessiva, specie quando segue in maniera un po’ indiscriminata il ridondante discorso delle riviste di categoria. Tacchi ci spiega che il termine ?avvocato? non identifica con precisione alcun gruppo sociale, o di status, o politico-ideologico definito. L’avvocato è ovunque, inafferrabile. E’ mediatore sociale per definizione, è protagonista della transizione borghese, è comunicatore e esperto di norme e di istituzioni, è potere costituente e di tutto ama e spesso sa parlare. Cosicché riesce difficile capire cosa distingua la centralità degli avvocati nel regime liberale-borghese da quella che già avevano nell’antico regime o che avranno nel regime fascista; dire se sia ?più avvocato? il liberale-democratico o il borbonico clericale, il fascista o l’antifascista, fino a dove il ceto sia ?moderno? o ?arcaico?, e cosa realmente significhi la persistente ed anzi crescente occupazione degli avvocati dei ranghi della politica. Sarebbe impresa affascinante, ma assai ardua, cercare di cogliere il nesso tra la sfera del diritto (e degli ordinamenti comparati) e un determinato orizzonte politico-culturale (liberale, democratico, o fascista), una impresa che però riguarderebbe non solo gli avvocati, ma tutto il campo più vasto dei giuristi e della dottrina.

Raffaele Romanelli