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Francesco Leoncini e Carla Tonini (a cura di) – Primavera di Praga e dintorni. Alle origini dell’89 – 2000

Francesco Leoncini e Carla Tonini (a cura di)
Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole

Anno di pubblicazione: 2000

Vent’anni dopo quel “colpo di Praga” che pose il suggello alla sovietizzazione dell’Europa centro-orientale, la “primavera di Praga” riportò la Cecoslovacchia al centro dell’attenzione internazionale, facendone – com’è noto – il riferimento di tutti coloro che, all’Est e all’Ovest, aspiravano ad un socialismo “dal volto umano”. Caduto il Muro di Berlino, gli ideali dubcekiani (e gorbacioviani) non furono più di moda, anche – e forse soprattutto – nella Cecoslovacchia che si avviava a quel civile e tranquillo divorzio cui plaudirono troppi sprovveduti e superficiali “osservatori”.
Non stupisce, quindi, che quello organizzato a Padova (29 maggio 1998) da Francesco Leoncini e da Carla Tonini – e del quale il volume raccoglie gli atti (insieme a successivi materiali, come le amare considerazioni di Karel Kosik, pp. 36-48) – sia stato l’unico convegno di rilievo svoltosi in Italia in occasione del trentesimo anniversario della crisi cecoslovacca del ’68.
Spunti di riflessione (ma anche qualche motivo di franco dissenso) offrono le rapsodiche ed appassionate considerazioni di Leoncini (pp. 13-30) sull’Europa centrale interbellica prima, e sovietizzata poi: le vicende cecoslovacche (ma non solo esse!) vi sono oggetto di giudizi ispirati ad un costante riferimento all’”utopia” masarykiana da un lato, e ad un vigoroso richiamo alle attese che il “nuovo corso” dubcekiano aveva suscitato nel mondo comunista, dall’altro. Non si può, peraltro, consentire con i curatori quando apoditticamente affermano (p. 11) che la decisione della Romania di non partecipare all’invasione della Cecoslovacchia “fu dovuta […] all’ambizione del Conducator [Nicolae Ceausescu] di costruire per sé e per il suo clan un potere dittatoriale assoluto”: se, infatti, non v’è dubbio che costui non fosse animato dal “desiderio di difendere il corso della riforma” a Praga, è altrettanto vero che nell’estate 1968, per l’allora gruppo dirigente comunista romeno, solo Ceausescu – figlio di poveri contadini e romeno al 100% – poteva essere visto dal popolo “come insostituibile capo della Romania e campione degli interessi nazionali” (Stephen Fischer-Galati).

Lauro Grassi