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Francesco Tommasini. L’Italia e la rinascita della Polonia indipendente

Luciano Monzali
Roma, Accademia Polacca, 152 pp., s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume dedicato a Francesco Tommasini, agente di lungo corso, in servizio in Polonia
dal 1919 al 1923, si inserisce nella ricca storiografia sulle biografie dei diplomatici
italiani.
Non è la prima volta che l’a. si confronta con le biografie diplomatiche. La conoscenza
profonda del contesto e della politica estera italiana arricchisce il volume, che riesce a illustrare
attraverso la vicenda di Tommasini alcuni degli elementi di debolezza persistenti della
diplomazia dell’Italia liberale.
Ricostruire quattro anni della carriera di un agente collocato su uno scenario europeo
tutto sommato periferico potrebbe apparire opera di stretto respiro. L’a., però, riesce a dimostrare
con efficacia quanto quella vicenda sia sintomatica dei limiti della politica estera
italiana del tempo. Tommasini fu a capo della legazione italiana in Polonia in un momento
chiave sia per Roma, alle prese con una profonda crisi nei rapporti con la comunità internazionale,
quanto per Varsavia, coinvolta in una guerra con la Russia proprio mentre si stabilizzava
la situazione interna. Il succedersi di cinque governi (Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta
e Mussolini) vide Tommasini costantemente impegnato nel tentativo di far comprendere
la convenienza di una politica italiana filopolacca. Essa poteva contare sulla triangolazione
con la Santa Sede e sul percorso parallelo dei Risorgimenti dei due paesi. Poteva altresì alimentare
accordi economici vecchi e nuovi. Poteva, soprattutto, rendere l’Italia un punto di
riferimento a fianco, se non in alternativa, alla Francia, tradizionale protettrice dei polacchi.
Un atteggiamento troppo timido e troppo incline a privilegiare piuttosto i rapporti con le
grandi potenze, la Russia in particolare, pregiudicò questa possibilità. Le speranze del diplomatico
tramontarono definitivamente dopo la Marcia su Roma, dissolvendosi di fronte alla
sua avversione verso la destra polacca, considerata filofrancese e quindi ostile agli interessi
italiani. Fu proprio l’ascesa dei nazionalisti polacchi, sostenuti dai fascisti, a segnare bruscamente
la fine dell’esperienza di Tommasini in Polonia. Grazie all’amicizia di personaggi
influenti, come Tittoni, egli rimase comunque una voce di rilievo nel discorso pubblico:
uscito dalla diplomazia, divenne uno dei più acuti lettori della politica internazionale, autore
di numerosi studi sull’area che meglio aveva conosciuto.
A sorprendere in questo testo è la continuità di una politica estera incapace di comprendere
che lo scenario europeo orientale era e sarebbe stato fondamentale e che andava
coltivato attraverso una fitta rete di rapporti economici e diplomatici. Agenti pur abili e che
conoscevano l’ambiente, come nel caso di Tommasini, si ritrovarono così a operare affannosamente
nel tentativo di tenere aperti canali di comunicazione con la classe politica locale.
Al di là della vicenda personale di Tommasini, il suo percorso è emblematico del persistente
iato tra una strategia balbettante da parte della classe politica e la presenza sullo
scenario internazionale di figure di diplomatici abili e coscienti della necessità di un’azione
di ampio respiro

Emanuela Costantini