Anno di pubblicazione: 2017
Nell’ambito della copiosa – ma non sempre rilevante – produzione storiografica
internazionale data alle stampe negli anni del centenario della prima guerra mondiale il
volume collettaneo curato da Tancredi Artico, con la Prefazione di Gustavo Corni, presenta
aspetti di originalità. Peculiarità evidenziate già dal titolo multilingue e dal leopardiano
rinvio allo «Zibaldone», che richiamano una babele di voci e una caleidoscopica sovrapposizione
di storie e memorie belliche. Una polifonia che il lavoro restituisce attraverso
testimonianze epistolari e diaristiche – intese come forma di «letteratura degli illetterati»
– provenienti dal fronte occidentale, dalla Turchia e dall’Italia.
Il punto di osservazione del curatore e dei tredici contributi del volume segue il
filo di una narrazione che restituisce la lacerante condizione dell’uomo in guerra, in cui
tutti – al di là degli schieramenti – condividono il medesimo destino. Una dimensione
rappresentata dalle tecnologiche ed esiziali «nefaste meraviglie» (espressione di Antonio
Gibelli) introdotte sui campi di battaglia, dalla perdita del senso di confine e di limite,
dall’impossibilità di comprendere e comunicare l’esperienza in atto. Fu, per questo, anche
una guerra di parole: non solo per l’immensa produzione di scritture, ma per l’impossibilità
di capire la lingua dei nemici, talvolta degli alleati e – nel caso italiano – i dialetti
dei commilitoni.
Ri-pensare la guerra («Re-thinking War», p. 19) attraverso le coordinate del vissuto
soggettivo è la prospettiva del volume: un ri-pensamento, riguardante anche la scelta delle
fonti, per andare oltre l’«histoire événementielle» e opporsi alle neoretoriche patriottiche
riemerse in occasione del centenario.
In tale prospettiva, restituire la parola ai testimoni, a chi ha subito gli orrori bellici,
può essere ancora (purtroppo) considerata una visione innovativa («new, fresh vision», p.
19), uno sguardo demitizzante sulla guerra. Un approccio storiografico – in cui il lavoro
si inserisce attingendo a categorie storiografiche, letterarie e linguistiche – che tra gli anni
’70 e ’80 (si pensi ai lavori di Paul Fussell ed Eric J. Leed) si è affermato anche in Italia e
ha visto radicarsi una tradizione di studi sulle scritture popolari (mi riferisco, fra tutti, ai
lavori di Antonio Gibelli e Quinto Antonelli), oltre alla nascita di centri di raccolta di tali
fonti (Archivio della scrittura popolare di Trento, Archivio ligure della scrittura popolare
di Genova e Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, per citare i maggiori).
Il testo – composto da contributi in varie lingue, con traduzione in inglese – è corredato
da un’antologia di testimonianze di quattordici scriventi e, in Appendice, da quindici
immagini riguardanti soprattutto scene di vita al fronte e testi dei soldati.