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Fulvio Conti (a cura di) – La massoneria a Livorno. Dal Settecento alla Repubblica – 2006

Fulvio Conti (a cura di)
Bologna, il Mulino, 570 pp., euro 38,00

Anno di pubblicazione: 2006

Le vicende della massoneria labronica rappresentano un caso storiografico particolarmente interessante perché Livorno, oltre a essere stata una città caratterizzata da una massiccia presenza massonica, in molte occasioni seguì percorsi differenti rispetto alle dinamiche interne alla libera muratoria registrabili a livello nazionale. Come ha puntualizzato Filippo Sani, le logge livornesi ? influenzate dalla presenza inglese ? si caratterizzarono fin dai loro primi anni di attività non solo per un marcato cosmopolitismo, ma anche per la capacità di interagire e coinvolgere personaggi di rilievo delle minoranze religiose, in particolar modo della storica comunità ebraica (rapporto descritto con efficacia da Liana Elda Funaro). Tuttavia, se nel corso del Settecento l’evoluzione della massoneria livornese non si discostò da analoghe esperienze che si svilupparono nella penisola, è nel periodo della Restaurazione che va individuata la prima, vera differenziazione in tal senso. Solo a proposito della città toscana si può infatti parlare di una continuità effettiva e organizzata con le logge del periodo settecentesco e napoleonico, tanto che, come sostiene Fabio Bertini, all’indomani dell’Unità Livorno rappresentò un punto di forza per la ricostruzione della libera muratoria in Italia: basti ricordare che qui tra il 1860 e il 1900 operavano ben 32 logge del Grande Oriente d’Italia, un numero del tutto significativo se si tiene conto di una popolazione composta da meno di centomila abitanti. Non sempre le officine di Livorno, come emerge dalla ricerca di Alessandro Volpi, furono in linea e in sintonia con la dirigenza nazionale, anche se di origini livornesi fu uno dei Gran Maestri più importanti, Adriano Lemmi. Nonostante lo spiccato orientamento democratico della maggioranza delle logge livornesi, a partire dal periodo crispino la sociabilità massonica riuscì ad attrarre settori politici moderati e, come evidenzia nel suo saggio Donatella Cherubini, a sviluppare un ruolo di mediazione, una sorta di «camera di compensazione» all’interno della quale le diverse tendenze politiche, pur mantenendo la propria autonomia d’azione e di giudizio, agivano nel contesto di un impegno laico e anticlericale. Tale impegno, come evidenzia Angelo Gaudio, produsse una vivace reazione da parte del cattolicesimo locale, che utilizzò gli stessi strumenti, satirici e polemici. Durante il periodo bellico e nel primo dopoguerra, come spiega Marco Di Giovanni, la massoneria livornese condivise le scelte interventiste delle grandi obbedienze e la successiva iniziale adesione al fascismo, anche se molti massoni livornesi assunsero in seguito una netta posizione antifascista. Non a caso la repressione antimassonica fu particolarmente dura in questa città, dove però si mantennero vivi alcuni luoghi di sociabilità di tradizione liberomuratoria. In conclusione, quest’opera rappresenta un ottimo esempio di come debba essere affrontata la storia della sociabilità liberomuratoria a livello locale, allo scopo di comprendere come si coniugarono i percorsi dell’agire massonico in realtà sociali e politiche complesse e in costante evoluzione.

Marco Novarino