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Gabriele Turi – Il nostro mondo. Dalle grandi rivoluzioni all’11 settembre – 2006

Gabriele Turi
Roma-Bari, Laterza, VIII-471 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2006

Ecco un manuale di taglia media, una dimensione non certo privilegiata negli ultimi anni, ma che alla lunga potrebbe risultare invece particolarmente adatta alle esigenze dell’università riformata. Turi presenta un testo continuo, senza appendici, tabelle, cronologie o altri apparati didattici. In esso uno spazio quasi uguale è dedicato all’Ottocento e al Novecento, mentre di quest’ultimo secolo sembra un po’ sacrificato l’ultimo trentennio che, come fase di transizione al millennio contemporaneo, richiederebbe ormai un’attenzione particolare. Dal punto di vista tematico nella maggior parte dei capitoli sono accostate le vicende di aree diverse del mondo, diluendo così la prospettiva eurocentrica, mentre i temi della storia politico-istituzionale, dispersi quasi sempre nel racconto delle vicende nazionali, trovano qui finalmente una esposizione adeguata in alcuni paragrafi lucidi e sintetici. I riferimenti spesso testuali al lavoro di altri storici arricchiscono il discorso, delineando una storiografia di riferimento nella bibliografia finale. Ciò che forse caratterizza maggiormente il manuale di Turi è la presenza di «paragrafi dedicati alla riflessione su temi di lungo periodo, collocati nel momento in cui questi assumono uno spessore particolare (che) anticipano talvolta eventi narrati più avanti nel testo» (p. VIII). Non si tratta quindi né di parole chiave, alla maniera per esempio di Sabbatucci e Vidotto, né di isolare la trattazione di fenomeni tipici della lunga durata come la demografia e il suo rapporto col territorio, il che peraltro avviene nel primo capitolo, secondo una formula già adottata da Montroni. Qui troviamo invece paragrafi tematici all’interno dei quali sono delineate periodizzazioni autonome rispetto alla scansione cronologica del testo nel suo insieme. Ad esempio alla fine del II capitolo, che si conclude con l’età napoleonica, si possono trovare alcune pagine dedicate alle rivoluzioni dove si citano Lenin, Mussolini, Zapata e Gandhi. Oppure alla fine del VI capitolo, intitolato alla conquista del mondo fra Ottocento e Novecento, a proposito di Chiesa cattolica e secolarizzazione si va dalla Rivoluzione francese allo Statuto albertino, dai concordati novecenteschi alla Costituzione repubblicana, da questa poi al Concilio Vaticano II, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Si tratta, mi sembra, di una scelta coraggiosa che, se ha il merito di aiutare a «non perdere di vista la dimensione complessiva, l’articolazione e l’evoluzione di fenomeni troppo spesso trascurati e trattati in modo episodico» (p. VIII), rischia però di consegnare per cenni al semplice lettore un percorso unilineare, e forzatamente decontestualizzato. Tutt’altro valore possono assumere tracce del genere se integrate dal confronto con un docente, e ciò forse potrebbe valere anche per i riferimenti di cultura generale tesi a illustrare situazioni e contesti. Quale familiarità avrà lo studente medio «non frequentante» con Turgeniev, Beecher Stowe e Conrad, ma anche con Lang o Pontecorvo?

Giuseppe Civile