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Gaetano Quagliariello – De Gaulle e il gollismo – 2003

Gaetano Quagliariello
Bologna, Il Mulino, pp. 884, euro 40,00

Anno di pubblicazione: 2003

Il volume affronta il problema del gollismo in ogni suo aspetto: dalla sua remota matrice maurrassiana alle attuali prospettive di fronte alla mutata realtà mondiale caratterizzata dall’aspirazione statunitense al dominio. Il gollismo è visto nelle sue due facce: tradizionalismo e anticomunismo sul piano interno e indipendenza dalle due grandi potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale, in politica estera. L’autore ha simpatia per la prima, non per la seconda. Oltre tutto la situazione è resa più complicata dal fatto che nell’attuale prospettiva italiana coloro che sognano per il nostro paese una nuova costituzione di tipo più o meno gollista, sono, in politica estera, devotamente filoamericani. Sono dunque per così dire dei gollisti devianti.
Ampio spazio è dedicato alla ricostruzione del Putsch dei generali Massu e Salan ad Algeri, che portò De Gaulle al potere (13-28 maggio 1958). Essa appare talvolta edulcorante: anche quando si tratta di eventi atroci. Per es. la tortura. A p. 284 si legge: ?l’inasprirsi della battaglia di Algeri spinse l’esecutivo a coprire i metodi certamente non ortodossi [sic]? utilizzati da Massu. Un altro punto sintomatico è la ricostruzione di come il primo ministro Pflimlin si sia autoliquidato onde consentire al presidente Coty di chiamare De Gaulle al potere. L’autore vuole mostrare come i golpisti di Algeri non fossero in realtà schierati per De Gaulle. Così, dinanzi al fatto indiscutibile che già il 15 maggio ? cioè 48 ore dopo che Pflimlin aveva ottenuto la fiducia ? Salan arringava i sediziosi di Algeri al grido di Vive De Gaulle (p. 377), l’autore obietta che ?nulla di definitivo? può affermarsi ?sulla genesi dell’esclamazione? (p. 378: sic). E sulla base di ?indizi? ricavati da ?intercettazioni telefoniche? ipotizza che suggeritore di Salan, per quanto attiene a quella ?esclamazione?, sarebbe stato François d’Harambure. Non si vede, francamente, cosa questo cambi. Quanto a Pflimlin, è curioso come un libro così ricco di dati non ne fornisca uno piuttosto importante, cioè il risultato della votazione all’Assemblée Nationale, il 27 maggio, sulla proposta Pflimlin di riforma costituzionale. Integriamo il racconto dell’autore osservando che i sì furono 408 e i no 165. Pflimlin dichiarò, nonostante il voto non fosse palese!, che i voti dei deputati comunisti erano stati determinanti in suo favore, e perciò si dimise. In verità egli era divenuto premier 14 giorni prima grazie all’astensione dei comunisti. Di mezzo c’era stato l’ordine di De Gaulle che dei comunisti non si dovesse tener conto, bensì solo dei partiti ?nazionali? [sic]: e Pflimlin non voleva che togliersi di mezzo, sì che il suo reiterato successo parlamentare aveva cominciato ad apparirgli come un vero insuccesso? Nel vivace racconto di quei convulsi giorni questi dettagli numerici sarebbero stati indispensabili. Altrimenti il golpe e l’autoaffondamento del Parlamento finiscono con l’apparire un armonico avvento del ?salvatore della patria?. Peccato che Salan, prima ancora che a Parigi si votasse alla Camera, abbia guastato il gioco delle ipocrisie lanciando da Algeri, alla folla estatica dei coloni, il grido ?Il nostro appello al generale De Gaulle è stato accettato?. Anche questo dettaglio meritava di essere accolto nel racconto.

Luciano Canfora