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Gaetano Quagliariello – Gaetano Salvemini – 2007

Gaetano Quagliariello
Bologna, il Mulino, 313 pp., Euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2007

Titolo fuorviante, non ci si attenda una biografia, non è quello che l’a. annuncia nella Prefazione (pp. 7-11). E neanche però solo una neutra raccolta di relazioni e contributi vari, che attraversano gli anni ’90, segno di una sua perdurante attenzione a Salvemini. Non per niente i testi rielaborati in sequenza li chiama capitoli, sette, aperti dalla Prefazione e chiusi da un Epilogo su Salvemini neoempirista (pp. 283-303) e da un Epitaffio. Quest’ultimo, il lettore va subito a leggerselo; e fa bene, perché sono due lucide righe di Salvemini a Elie Halévy, nel 1932: «?voi siete uno Storico puro, io ho la sfortuna di essere per metà uno storico e per metà un politico». Se fosse concesso aggiungere una terza metà – scienziato della politica e storico delle dottrine – avremmo Quagliarello, l’autore; dovendo accontentarci delle solite due metà, salveremmo senz’altro il politico, sostituendo tuttavia lo «storico» con lo «scienziato della politica» e lo «storico delle dottrine politiche», interessato qui a additare in Salvemini un antecedente della critica dei partiti e in particolare dei partiti di massa; e anche un teorico delle libere associazioni degli individui in «leghe» e associazioni e persino delle elezioni a tema e non – già nel 1912, in vista delle prime elezioni a suffragio quasi universale – su «programmi omnibus» (p. 42). Un precursore, già nel 1901 – si compiace Quagliarello – dell’«individualismo metodologico», un mezzo popperiano (p. 298). Questo sguardo lungo di Salvemini sul divenire della politica, già fra ‘800 e ‘900 – negli anni di una militanza socialista qui giudicata solamente tattica e in contraddizione con le sue più genuine aspirazioni – aveva bisogno per essere còlto dell’89 (quello tedesco, non il vetusto ’89 francese). Sino a quel punto la vulgata – che l’a. depreca e visibilmente ritiene di scalzare, in felice unisono con la nostra «epoca post-ideologica» (p. 18) – aveva continuato a sgridare Salvemini proprio per quelli che oggi finalmente si rivelano i suoi pregi: il diffidare dei partiti, l’aver abbandonato il Partito socialista per qualche cosa di meno e non per qualche cosa di più; e gli aveva anteposto qualcuno dei suoi allievi, in primis Gobetti. Anche i mancati entusiasmi per la Resistenza, gli stretti vincoli con gli Stati Uniti, l’anticomunismo sono vizi che si capovolgono ora in anticipazioni e virtù, grazie al nuovo e liberatorio punto di vista. Il capro espiatorio di questo rovesciamento della vulgata risulta Lelio Basso: titoli degli anni ’50, invero potenti se gli antidoti si sono dovuti attendere trent’anni. Non si fanno molti altri nomi, prendendosela in solido con una vulgata gramsciana degli «storici comunisti e dei loro compagni di strada» (p. 19). Meno spazio è concesso all’accantonamento della variante «minoritaria» della vulgata, «repubblicano-radicale», anche alla luce di un enfatizzato disdegno dello stesso Salvemini per Mazzini (p. 30). Della Grande guerra non si parla proprio e questo vuoto – sorprendente – aiuta a destoricizzare l’approccio. Sul piano storiografico, i capitoli da segnalare sono il terzo, sugli ex-combattenti; e il quinto – Antifascista e anticomunista – che ricostruisce i cicli di conferenze negli USA, usando come fonte i documenti consolari.

Mario Isnenghi