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Geoffrey J. Pizzorni (a cura di) – L’industria chimica italiana nel Novecento – 2006

Geoffrey J. Pizzorni (a cura di)
Milano, FrancoAngeli, 277 pp., euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il libro raccoglie relazioni e interventi presentati a un convegno svoltosi a Milano nel 2004 cui hanno partecipato storici economici e della scienza, tecnici e protagonisti di una vicenda che si è dipanata tra successi (alcuni) e crisi (di portata assai rilevante). Esito dunque di un convegno e dell’impegno di un gruppo composito di autori, il volume si rivela utile per fare il punto sull’evoluzione dell’industria chimica in Italia tra la fine del XIX secolo e la crisi degli anni Settanta del Novecento, grazie in particolare ad alcuni saggi (dello stesso curatore Pizzorni, di Angelo Moioli, di Vera Zamagni) che basandosi sulla letteratura esistente ne propongono efficaci sintesi. Accanto a interventi di taglio storico il volume ne presenta altri di commento e giudizio sulle dinamiche più recenti e di illustrazione della ampia gamma dei prodotti e dei processi che caratterizzano il comparto. Due contributi consentono di inquadrare le vicende nell’evoluzione del settore a livello internazionale: Peter Hertner tratta del primato della chimica tedesca tra le due guerre mondiali, mentre Raymond Stokes delinea i cambiamenti intervenuti dopo il 1945 quando la leadership è saldamente assunta dalle imprese statunitensi. Osservando la parabola della chimica italiana si colgono taluni momenti cruciali della storia industriale ed economica del paese: la Grande guerra segna la raggiunta maturità del comparto; negli anni Venti e Trenta si registrano significativi incrementi della produzione, ancora più marcati nel secondo dopoguerra allorché l’affermarsi del paradigma del petrolio si traduce nella creazione delle grandi raffinerie sulla costa e nel moltiplicarsi degli impianti petrolchimici. Lo Stato e le grandi imprese, non di rado controllate dalla mano pubblica, emergono come principali protagonisti della storia. Rolf Petri e Gino Pagano dedicano i loro contributi appunto al ruolo dell’intervento pubblico, di enorme rilevanza almeno a partire dagli anni Venti grazie ad aziende quali AGIP, ANIC ed ENI. Accanto ad esse si stagliano poche altre grandi imprese private, prima tra tutte la Montecatini. Nella combinazione tra azione della grande impresa e politiche dello Stato si debbono individuare le cause dei successi dell’industria chimica italiana, in qualche caso assolutamente significativi nel campo della ricerca (interessanti sono le annotazioni relative a tecnici e scienziati di grande valore quali Giacomo Fauser e Giulio Natta i cui studi sono stati sostenuti dalla Montecatini). Le grandi imprese e lo Stato, le prime rivelatesi sin dagli anni Sessanta incapaci di mantenersi al passo dell’innovazione, il secondo responsabile di avere incentivato investimenti finalizzati alle produzioni di base ed intermedie piuttosto che a quelle della chimica fine, appaiono poi incapaci di affrontare le nuove sfide che le mutate congiunture e la concorrenza impongono. Oggi, in assenza di grandi imprese e caduta in disgrazia ogni ipotesi di politica industriale, le prospettive appaiono davvero incerte.

Marco Doria