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Gian Piero Brunetta – Gli intellettuali italiani e il cinema – 2004

Gian Piero Brunetta
Milano, Bruno Mondadori, pp. 191, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2004

L’autore disegna il lungo, intenso e a volte misterioso legame che il cinema ha avuto, fin dalle origini, con una fittissima schiera di quelli che oggi si chiamano intellettuali. Un interesse per la nuova forma di comunicazione (che poi, con non poche difficoltà, fu ritenuta degna di essere arte) cominciò in Italia, e nel resto del mondo, quando il cinematografo dimostrò di saper fare le cose in grande e soprattutto di poter garantire, a tutti, guadagni che l’asfittico teatro e anche la letteratura erano ben lungi dall’avvicinare. Il cinema ha sfruttato intensamente la letteratura ma anche i ?letterati? convertendoli in soggettisti, sceneggiatori, critici ed in una quantità di altre funzioni, spesso nascoste, ma indispensabili per far diventare il cinema quel fenomeno culturale, sociale, industriale che è diventato nel corso del ‘900. Non bisogna dimenticare inoltre che la Cines, e cioè la più importante casa di produzione italiana, ebbe il suo periodo più fecondo, dal punto di vista delle innovazioni e da quello della resa artistica e culturale, con la direzione di un intellettuale a tutto tondo che risponde al nome di Emilio Cecchi (a questo Brunetta dedica un capitolo illuminante). Come pure non si deve dimenticare la lunghissima pratica di critico cinematografico (un critico molto sui generis: ?col cinema si può parlare di tutto? affermava convinto) di un personaggio come Alberto Moravia definito da Brunetta ?mastro Geppetto della critica cinematografica?. E si potrebbe continuare ancora a lungo con l’elencare gli apporti e i meriti che gli intellettuali hanno accumulato nel corso degli anni nel loro operare nel cinema, non ultimo il contributo alla stabilizzazione di un parlato nazionale nel corso degli anni ’30 nella veste di sceneggiatori. D’altro canto Brunetta non si sottrae al compito di elencare e illustrare la lunghissima teoria di casi in cui i letterati italiani, soprattutto negli anni di formazione o addirittura nella loro infanzia, hanno subìto il fascino e l’influenza del cinema e da questo sono rimasti contaminati per tutta la vita. Per qualcuno, come Sciascia e Bufalino, in anni difficili e in aree geografiche di provincia, il ?cinema era tutto?. Rapporto con la letteratura ma anche con qualcosa di più antico e sedimentato: gli archetipi, il mito, l’ancoraggio iniziale e fecondo di un ?senso? del racconto cinematografico del nostro paese che parlava al presente ricordando il passato e metteva in scena il passato per raccontare il presente.
Un intreccio così forte e profondo non può esaurirsi ?solo? nel rapporto tra cinema e letteratura ma finisce per coinvolgere altre discipline, altri saperi come la storia: ?Tra il 1945 e il 1948 le opere di Rossellini, Zavattini-De Sica, De Santis, Visconti, sprigionano una forza di novità, un’energia e una potenza tale da cambiare le coordinate, i sistemi di riferimento, i paradigmi culturali, la prosodia, la sintassi e le poetiche di tutto il cinema mondiale. Questo, in tutta la storia del cinema italiano, è l’unico momento in cui si cerca di tagliare il cordone ombelicale con la letteratura e di inseguire il sogno di far parlare le cose senza ulteriori mediazioni: il che, al di là delle apparenze e delle osservazioni più evidenti, non è così ovvio? (p. 130).

Pasquale Iaccio