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Gianluca Fulvetti – Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945) – 2009

Gianluca Fulvetti
Roma, Carocci, 318 pp., euro 31,50

Anno di pubblicazione: 2009

Fulvetti conclude un decennale percorso di ricerca con un’opera che ricompone, in maniera sistematica, il mosaico delle violenze sui civili nel corso dell’occupazione tedesca della Toscana tra il ’43 ed il ’44. Non si tratta solo di una ricostruzione della miriade di episodi di violenza – 237 massacri con un totale di 3.650 vittime – che hanno martoriato le comunità toscane, poiché la dimensione della mappatura e della quantificazione è rapidamente superata dalla decisione di utilizzare un’impostazione analitica, andando oltre l’ottica prevalentemente descrittiva, che ha caratterizzato la primissima fase di ricerca sulla guerra ai civili. Fulvetti sceglie quindi di operare una metodica suddivisione degli episodi di massacro all’interno di tipologie specifiche, ognuna delle quali definita in base alla valutazione, caso per caso, del peso delle molteplici variabili che compongono il quadro di riferimento. In questo senso le caratteristiche della condotta di guerra e delle sue evoluzioni, il modus operandi dei protagonisti, siano essi tedeschi o reparti della Rsi, truppe alleate, partigiani o civili, le modalità della violenza, la peculiarità delle vittime e dei carnefici, definiscono le condizioni particolari che consentono di collocare i singoli episodi all’interno delle tipologie di massacro. Alcune di tali tipologie sono immediatamente riconducibili ad una sorta di logica funzionale alle esigenze belliche. È il caso delle «operazioni di ripulitura e desertificazione» legate ai movimenti del fronte ed alle esigenze di controllo del territorio, delle «rappresaglie» in risposta ad azioni ostili, e dei massacri compiuti nel corso dei «rastrellamenti antipartigiani». Anche nei «massacri di stampo razziale» è possibile individuare un sistema di riferimenti e motivazioni ricollegabile ad una qualche forma di logica, mentre di fronte alle tipologie più difficili da collocare all’interno di un quadro razionale – è il caso dei «massacri compiuti nel corso della ritirata», e dei «massacri eliminazionisti» – si potrebbe essere tentati dal ricorrere a spiegazioni magari fondate su stereotipi e luoghi comuni. In questo senso l’a. non lascia dubbi, quando afferma che è «necessario isolare, all’interno della guerra ai civili, un “di più di violenza”, mostrarne la specificità, discuterne una ratio che non attiene solo alla strategia bellica o alla repressione antipartigiana, ma nemmeno è il frutto di un raptus omicida incontrollato e di massa» (p. 31). È proprio l’esistenza di una ratio, in fin dei conti possibile da individuare e circoscrivere anche in quegli episodi la cui violenza sembra realizzarsi fuori da ogni legame con le logiche di guerra, che riporta la riflessione sul tema delle responsabilità dei protagonisti, in particolare dei partigiani e delle forze di occupazione. Nelle sue conclusioni Fulvetti si mantiene distante da una visione meramente etica, ed in fondo profondamente astorica, del concetto di responsabilità: è nella peculiarità della guerra, ed ancor di più nella specificità della seconda guerra mondiale, che il tema della responsabilità va declinato.

Andrea De Santo