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Gianni Donno – Il Mezzogiorno nel socialismo italiano 1903-1913 – 2004

Gianni Donno
Milano, Franco Angeli, pp. 256, euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2004

La polemica salveminiana nei confronti del giolittismo e delle condiscendenze socialiste verso lo statista liberale si animava soprattutto della critica ad una politica verso il Mezzogiorno che avrebbe perpetuato i privilegi delle vecchie classi possidenti nei riguardi di un proletariato rurale sostanzialmente isolato dalla classe operaia del Nord e dallo stesso PSI. Questa tesi, soprattutto nella sua versione più ferocemente antigiolittiana (?il ministro della malavita?), sarà poi ridimensionata nei decenni successivi dallo stesso Salvemini. Al contrario, la denuncia della presunta insensibilità dei dirigenti socialisti di quegli anni nei confronti del problema meridionale è rimasta sostanzialmente inalterata, almeno in termini di divulgazione corrente e di dibattito politico.
Il libro di Donno, che segue quello dedicato al primo decennio di vita del Partito, si muove in un’ottica più equilibrata, tesa a rivalutare aspetti e vicende che nei primi anni dell’età giolittiana videro impegnato il gruppo parlamentare socialista in proposte e iniziative legislative coincidenti con l’avvio della fase riformistica dei governi Giolitti. Certo, colpisce la citazione di un intervento di Ettore Ciccotti su ?i socialisti e la questione meridionale? pubblicato sull’«Avanti!» del 16 gennaio 1903: ?La questione meridionale […] si riduce sostanzialmente a produrre di più e a dare un più facile sbocco ai suoi prodotti […]. Ora buona parte di queste cose si possono ottenere non per via dell’azione individuale, ma per via dell’azione collettiva dello Stato; e i milioni necessarii per queste e per i veri sgravi fiscali lo Stato non li avrà, se non falcidiando le spese improduttive; e i capitali non si avranno a mite interesse […] finché l’interesse del debito pubblico sarà qual è presentemente? (p. 23). Un’impostazione, si direbbe, di sconcertante modernità riformistica, considerando che era la matrice culturale di un marxismo rigoroso nell’analisi obiettiva dei dati di fatto a suggerirla e che tra le spese inutili da falcidiare Ciccotti annoverava innanzitutto quelle militari. Del resto, sarà proprio in quegli anni che verranno varati i primi provvedimenti speciali a favore del Mezzogiorno e che importanti innovazioni legislative toccheranno l’istruzione, la sanità, l’emigrazione, per sfociare nel suffragio universale maschile. Il libro dà conto della ricchezza di un dibattito nel Partito non meno che in Parlamento, che testimonia la consapevolezza della portata della questione meridionale anche in coloro che tendevano a privilegiare (secondo l’impostazione scolastica marxista) la questione operaia in quanto centrale rispetto alla fase di sviluppo delle forze produttive. Completa il testo una ricca appendice bibliografica, che dà conto degli interventi in materia sull’«Avanti!» dal 1896 al 1913. Una testimonianza ampia e articolata, che rivela la dimensione non trascurabile della questione meridionale nell’agenda politica e culturale dei socialisti italiani. Quello che mancava era la linearità di una proposta strategica, capace di unificare la varietà di bisogni e interessi che la maggioranza della società anche contraddittoriamente esprimeva. Ma su questo terreno, se manchevole fu il riformismo, non migliore sorte arrise al massimalismo.

Marco Brunazzi