Cerca

Gianni Orecchioni – I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943 – 2006

Gianni Orecchioni
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 252 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

La minuziosa ed ampia ricognizione archivistica in cui si articola il volume ci conduce nel solco della memoria di Lanciano, località dell’Abruzzo che si pose al crocevia delle diverse esperienze di prigionia riservate dalle autorità fasciste ai «pericolosi nelle contingenze belliche », ai cittadini cioè di paesi belligeranti contro l’Italia, agli ebrei, agli oppositori generici del fascismo. La loro sorte fu o quella dell’internamento nei campi di concentramento fascisti sorti da una legge del 1938, o quella dell’internamento libero dentro pensioni o appartamenti dai quali i perseguitati potevano allontanarsi nell’ambito del comune, ma con l’obbligo di rientrare al tramonto. Lanciano fu anche luogo di confino, istituto creato nel 1926 per gli oppositori politici al fascismo. L’autore si propone di rimuovere i macigni che incombono sulla memoria di Lanciano, rimozione dovuta a un lungo disinteresse storiografico per i luoghi di internamento istituiti dal regime di Mussolini, ma anche al desiderio dei testimoni oculari, entrati in relazione con gli internati, di dimenticare. Il primo capitolo è centrato sulle esperienze di prigionia a Villa Sorge, edificio che dal 27 giugno del 1940 al 12 febbraio del 1942 aveva ospitato un campo di concentramento femminile e dal 13 febbraio al 3 dicembre 1943 un campo di concentramento maschile per nazionalisti e comunisti slavi; a partire dal 3 dicembre e fino al giugno del 1944, poi, Villa Sorge verrà occupata dagli alleati. Orecchioni attraversa queste due fasi servendosi delle narrazioni dei testimoni che meglio restituiscono i vissuti e le condizioni dell’internamento; esemplari sono le memorie di Maria Eisenstein, ebrea di origine polacca arrestata a Catania il 17 giugno del 1940 e poi finita a Lanciano, da cui traspare non solo l’abbrutimento degli internati costretti a vivere in condizioni sanitarie deprecabili, ma anche la desolazione dell’alloggio, le cui camere da letto ? dove si mangiava ? erano state ridotte ad immondezzaio dai resti di cibo impossibili da rimuovere integralmente perché nonostante «la pulizia più accurata [?] sotto le brande [c’erano] valigie, scarpe ammucchiate insieme alle più strane suppellettili, non disponendo le internate né di armadi, né di una mensola a muro» (p. 35). Il secondo capitolo è dedicato alle esperienze di internamento libero, contrassegnate da un maggior contatto degli internati con la popolazione, sul cui atteggiamento l’autore non si sente di trarre conclusioni generali, perché accanto a quanti mostrarono comprensione per i perseguitati vi furono anche coloro che li maltrattarono. Il terzo capitolo è centrato sul confino ed il quarto, infine, sulle vicende successive all’8 settembre del 1943, tornante in cui le strade degli internati si divaricheranno: per alcuni l’epilogo saranno i campi di sterminio nazisti, per altri la salvezza. Il desiderio dell’autore di sottolineare le asprezze dell’internamento risponde anche all’esigenza di denunciare l’oblio che ha travolto quegli eventi, una denuncia che a volte assume toni retorici, ma che in qualche misura ci coinvolge tutti.

Giovanna D’Amico