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Gianpasquale Santomassimo – La marcia su Roma – 2000

Gianpasquale Santomassimo
Giunti, Firenze

Anno di pubblicazione: 2000

Il volume fa parte della fortunata collana sul XX secolo, lanciata con intenti di divulgazione ad uso scolastico, ma comunque sempre molto attenta al giudizio storiografico e alla ricostruzione ponderata e precisa degli avvenimenti. Invero, il lavoro di Santomassimo può considerarsi un’utile sintesi dei primi tre anni di vita del fascismo, con quasi un terzo delle pagine dedicate al fascismo antemarcia (quello del “fascismo-movimento”, per richiamare la celebre definizione defeliciana). Linea divisoria, la marcia su Roma lo fu per il fascismo che, come ricorda l’autore (p. 8), fu inserita nel calendario ufficiale del regime. Del resto, come osserva Santomassimo medesimo, una ricostruzione storiografica attenta deve tenere presenti i due atteggiamenti davanti alla marcia su Roma: essa fu osannata e celebrata nel corso del ventennio, dove non poteva non affermarsi un genere letterario, quello della pervasiva memorialistica dei “marciatori”, veri o presunti. Nell’Italia del secondo dopoguerra, invece, si assistette al fenomeno esattamente inverso: la marcia su Roma fu spesso retrocessa a “semplice bluff privo di sostanza, scampagnata” (p. 9) di alcune decine di migliaia di squadristi male armati. Nelle altre nazioni europee fu vista come modello di rivoluzione autoritaria per sconfiggere il bolscevismo, ma anche per eliminare le forme politiche e istituzionali di uno Stato liberale percepito come elemento di debolezza davanti alla sovversione delle classi subalterne. Non è un caso, infatti, che alla marcia su Roma si ispirasse il putch nazista di Monaco nel novembre dell’anno successivo. Da parte sua, Mussolini aveva conferito alla marcia su Roma il valore di sintesi fra l’insurrezionalismo della “settimana rossa” e il modello dannunziano – ma non unicamente dannunziano, sol che si pensi alla tradizione culturale dell’antiparlamentarismo italiano ormai già consolidata nel primo dopoguerra – fondato sulla convinzione di una capitale infetta e da rigenerare con l’occupazione delle forze sane della nazione (p. 51). Tale, in effetti, fu presentata dai fascisti mentre la vicenda era in svolgimento e nei giorni successivi. È difficile non concordare con l’autore quando osserva anche che la marcia su Roma è da considerarsi l’atto eversivo più importante della storia d’Italia (p. 9, p. 73) e che fu organizzata per evitare una eventuale ripresa dello Stato liberale (p. 48). Un attento osservatore della crisi italiana, Pareto, cui guardavano con attenzione numerosi intellettuali fascisti, considerandolo un maestro della critica della democrazia, aveva fatto pervenire a Mussolini il consiglio di accelerare i tempi dell’iniziativa. In un certo senso, essa fu l’immagine visibile del ritmo veloce che caratterizzò la crisi italiana del primo dopoguerra. Così come ci pare condivisibile il giudizio secondo il quale quella vicenda eversiva s’innestava in una tradizione nazionale in cui era stato costruito (dalla destra, ma anche dalla sinistra) il mito del contrasto fra “paese legale” e “paese reale”.

Francesco Germinario