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Giorgia Grilli – Le public schools britanniche tra mito e realtà. Un contributo allo studio dell’immaginario nell’Inghilterra vittoriano-edoardiana – 2003

Giorgia Grilli
Bologna, Clueb, pp. 299, euro 23,50

Anno di pubblicazione: 2003

Questo è un saggio informativo su un aspetto importante della cultura e del sistema d’istruzione di élites tipici del mondo angloamericano. L’autrice è interessata soprattutto alle ricezioni delle public schools nella letteratura inglese, ma, pur con questi limiti, il suo lavoro è basato su un’ampia bibliografia. Copre effettivamente il periodo tra gli anni ’60 del XIX secolo e la Grande Guerra, ma i capitoli finali presentano una rassegna degli argomenti usati da alcuni critici delle public schools, soprattutto nel ventennio successivo al 1918. È interessante notare che molte critiche erano dovute al successo che tali scuole avevano avuto nel formare una classe dirigente patriottica. Dopo gli insani massacri della guerra di trincea, negli anni Venti e Trenta questo successo veniva rigettato come piatto conformismo, senza tenere presente che le élites delle altre nazioni coinvolte nelle ostilità si erano comportate con uguale ?conformismo?. Ma ci si rese presto conto che patriottismo e senso dello Stato servivano, e nel secondo dopoguerra, nonostante fosse al potere un governo laburista con un programma radicale di riforme sociali, l’atteggiamento verso le public schools e la percezione popolare del loro significato storico furono molto più positivi. L’autrice suggerisce che un fattore importante della capacità di queste istituzioni di sopravvivere e reinventarsi come istituzioni nazionali (anziché solo di classe) fu, paradossalmente, la cultura popolare (p. 282), entro la quale esse si erano radicate come una delle componenti di un’identità britannica che aveva trionfato due volte in trent’anni su nemici esterni e difficoltà economiche senza precedenti. Questa tesi è molto plausibile (in termini di ricezioni popolari si pensi anche solo al recente straordinario successo di Harry Potter), ed offre senz’altro un’interpretazione interessante che varrebbe la pena di sondare ulteriormente usando fonti diverse da quelle usate della Grilli ? per esempio la stampa popolare, le memorie di politici e sindacalisti, e i dibattiti parlamentari del periodo postbellico. Un aspetto che avrebbe richiesto un’analisi più dettagliata è quello della religione. L’autrice ne sottolinea a più riprese l’importanza, ma non spiega in cosa consistesse questa religiosità, per esempio cosa fosse la Broad Church o chi fossero gli Anglo-Catholics. Infine, checché ne dicesse il rev. Papillon (p. 141), lo studio delle lingue straniere, almeno latino e greco, erano componenti centrali dell’istruzione elitaria di questo periodo. In particolare, lo studio del greco classico era un importante passo verso lo studio delle lingue orientali ? come il sanscrito, l’hindi, l’urdu, e l’arabo ? che era condizione preliminare per il concorso d’ammissione al prestigioso civil service in India e altre parti dell’Impero. Papillon era il portavoce di un pregiudizio diffuso anche tra moderni studiosi (per esempio Wiener), ma il sillabo delle public schools era più rilevante per i bisogni della Gran Bretagna imperiale di quanto questi critici vorrebbero farci pensare.

Eugenio F. Biagini