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Giose Rimanelli e Enrico Cestari – Discorso con l’altro. Salò, la guerra civile e l’Italia del dopoguerra – 2000

Giose Rimanelli e Enrico Cestari
Mursia, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Uno dei due autori, Rimanelli, è già noto al pubblico italiano quale autore di Tiro al piccione (Mondadori 1953, n. ed. Einaudi 1991), romanzo con numerosi risvolti autobiografici, ambientato tra le milizie salodine. Assieme a Cestari, altro volontario della Rsi, i due ricostruiscono, attraverso un breve ma intenso scambio epistolare, alcuni momenti della loro esperienza militare salodina, con qualche riferimento all’esperienza di prigionia nel campo di Coltano. Immancabile, il riferimento alla prigionia di Ezra Pound, (p. 119) a guerra finita.
Invero, nulla di particolarmente originale di una qualsiasi altra memoria della vita militare in tempo di guerra: visita al postribolo (p. 106 e sgg.) e servizio di pattuglia (p. 167) compresi. Un altro titolo da aggiungere a una già vasta memorialistica sull’argomento, ulteriormente allargatasi negli ultimi anni (si pensi, ad esempio, alle interessanti memorie di Vincenzo Costa). Nel caso di Rimanelli e Cestari, però, il passato passa e risulta metabolizzato. È lo stesso Rimanelli a riconoscere di avere una memoria selettiva (p. 18), che lo condurrebbe ad essere un testimone poco credibile. È risaputo che gran parte della memorialistica di Salò è stata segnata dalla presenza di un neofascismo livoroso et pour cause. I “ragazzi di Salò”, nel caso del neofascismo, non sono mai cresciuti, almeno politicamente. Diverso, appunto, il caso di Rimanelli e Cestari. Certo, ambedue i corrispondenti confessano di avere aderito alla Rsi quale scelta che attestasse il rifiuto del tradimento dell’8 settembre (p. 86). A Rimanelli e Cestari è da riconoscere, però, di avere rinunciato al livore, che, almeno nel secondo, compare solo in alcuni frangenti, comprensibili sotto l’aspetto umano: ad esempio, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile (p. 133), quando il secondo è costretto a verificare che l’esaltazione della Resistenza si associa alla rimozione della riflessione pubblica su coloro che militarono nella Rsi. I due, comunque, riconoscono di corrispondere per liberarsi di qualcosa (p. 71), non per rivendicare o continuare l’impegno politico sulla scia dei valori della Rsi. La scrittura come strategia psicoterapeutica, perché non v’è dubbio che è ben difficile accettare una sconfitta militare, civile e valoriale a poco meno di vent’anni. Per cui non c’è da meravigliarsi se, proprio all’inizio del loro carteggio, confessano di sapere chi erano ieri, non oggi (p. 27). Sul piano storiografico risultano alla fine molto più credibili queste ricostruzioni piuttosto che quelle di orientamento neofascista (da Pisanò a Graziani, Borghese, Anfuso ecc.), sempre indirizzate a giustificare le posizioni del presente in nome della rivendicazione dei valori del passato.

Francesco Germinario