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Giovanni Favero – Le misure del regno. Direzione di statistica e municipi nell’Italia liberale – 2001

Giovanni Favero
Il Poligrafo, Padova, pp. 311, euro 23,24

Anno di pubblicazione: 2001

Dopo i Marucco, i Sofia, i Patriarca si affaccia la nuova generazione di storici della statistica. Favero ne ripercorre la storia tra Risorgimento e primo ‘900 guardando al nesso tra centro e periferia, e coordinando dottrina, apparati, politiche.
Vi sono visioni diverse della statistica, le une più dirigistico-normative, le altre liberistico-descrittive (le scienze dello stato sono strumenti di controllo del governo sulla società o della società sul governo?). È un confronto agito da grandi attori come Gioia, Romagnosi, Ferrara, Correnti. Non meno grandi saranno i loro successori, da Maestri a Bodio, da Messedaglia a C.F. Ferraris. Si prenda nota: le scienze statistiche sono scuola di formazione di apparati tecnico-politici, di ?intellettuali-funzionari? che muovendosi tra cattedre e ministeri garantiscono continuità e competenza alle classi dirigenti.
L’unificazione detta le sue regole. Sul terreno disciplinare: la visione liberistica, o sociocentrica, poi rafforzata dal ?tecnicismo giusnaturalistico? di Quetelet, non era la più idonea a descrivere una società le cui differenti nervature e linguaggi potevano essere riconducibili all’omogeneità solo attraverso una iniziativa istituzionale forte. È qui il carattere originale e moderno della statistica italiana. Sul terreno delle pratiche: l’esecuzione del progetto unitario è affidata ad una società periferica già ricca di iniziative autonome con le tante monografie locali. Senonché le ?statistiche comunali?, pregevolissima peculiarità italiana, difficilmente erano riconducibili a parametri comuni, e affidare ai municipi compiti di rilevamento nazionale si rivelò fallimentare (per inaffidabilità, ma anche per la contraddizione tra finalità anagrafiche e quelle statistiche). La dimensione statal-pubblicistica prevalse, e finì coll’assumere aspetti dirigistici tendenzialmente autoritari che piegarono la statistica ufficiale ai bisogni dell’amministrazione abbandonando le preoccupazioni scientifiche (p. 151). Cade, questo momento forte, negli anni crispini. Ma paradossalmente ?fu proprio la sconfitta del discorso amministrativistico a livello nazionale che consentì alle amministrazioni municipali di appropriarsene? (p. 17). Agli inizi del ‘900, nella fase di massima espansione dei servizi comunali, nasce una nuova ?statistica urbana?, stimolata dalla cultura europea dell’urbanizzazione e sostenuta dal movimento comunale (ANCI, Unione statistica delle città italiane, etc.). Saranno le culture, le tecniche (e le tecnocrazie) che così si elaborano a livello urbano ad alimentare la rifondazione della statistica centrale in epoca fascista.
L’opera è densa, molto pensata. Favero controlla bene l’intreccio dei vari discorsi, disciplinare, politico, organizzativo. Non evita però lo scoglio su cui solitamente si incagliano le ricerche che ambiscono a guadagnare lo sguardo periferico: la difficoltà di monitorare se non centinaia, se non decine, almeno qualche amministrazione locale geograficamente dispersa e rappresentativa. E così anche lui parlando di periferia pilucca tra i casi più vicini ? il Veneto, ad esempio ? e passa in rassegna fonti a stampa fortunosamente individuate per altri comuni. Ma il male è comune, e non toglie il gaudio.

Raffaele Romanelli