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Giovanni Michelagnoli – Amintore Fanfani. Dal corporativismo al neovolontarismo statunitense – 2010

Giovanni Michelagnoli
Soveria Mannelli, Rubbettino, 246 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2010

Frutto della rielaborazione di una tesi di dottorato in Storia delle dottrine economiche, il volume affronta la figura di Amintore Fanfani sulla base di una rilettura dei suoi contributi di storico dell’economia, integrati con l’esame del vasto archivio reso recentemente disponibile. L’ipotesi di lavoro è che la comprensione del percorso di formazione e di riflessione del giovane studioso negli anni ’30 possa spiegare la cultura, gli orientamenti e le scelte del Fanfani politico (di cui si considera la fase iniziale, tra la Costituente e il primo approccio al Ministero del Lavoro, nel 1947-1950). In quest’ottica, Michelagnoli affronta il rapporto di discepolato di Fanfani con Jacopo Mazzei (pubblicando anche parecchie lettere dell’allievo al maestro) e studia l’evoluzione delle convinzioni teoriche del giovane docente aretino. Partito dall’apprezzamento storico dell’origine del capitalismo come sistema di libertà economiche nutrito da uno «spirito» specifico, Fanfani si misurò con la crisi del capitalismo contemporaneo. Per affrontarla, rifiutando qualsiasi condanna del sistema, si distaccò dall’economia politica classica, definita «naturalista» in quanto imperniata sulla spontaneità dell’ordine economico. E valorizzò le posizioni «neovolontariste», sostenitrici di un «controllo sociale» sull’attività economica. L’adesione al corporativismo sarebbe quindi da leggere in questa luce: l’a. sostiene però che il docente della Cattolica si sarebbe via via allontanato dalla fiducia nel sistema corporativo, utilizzando soprattutto i modelli degli economisti istituzionalisti statunitensi, per approdare ad un’intenzione di riforma politica dell’economia (in cui avrebbe contato molto anche la mediazione del pensiero maritainiano e mounieriano). Le tesi sul «diritto al lavoro» e il controllo sociale dell’economia sostenute in Costituente e la politica per la massima occupazione che ispirava il Piano-casa del 1949 sarebbero da leggere in continuità con questa visione.Come si può comprendere da questa schematica descrizione, il volume affronta questioni delicate, a cavallo tra analisi scientifica e ideologica della cultura economica. E lo fa con un certa perspicua sicurezza. Il risultato espositivo si sarebbe però giovato di una presentazione più distesa del percorso di studio effettuato (il libro concentra la ricerca in sole 130 pagine, pubblicando poi alcune lettere e una nuova bibliografia scientifica fanfaniana). A tale impostazione un po’ contratta ascriverei il ricorso a formule di sintesi piuttosto vaghe (a titolo di esempio: «Fanfani si colloca in una posizione intermedia tra corporativismo cattolico e corporativismo fascista», pp. 61-62), una certa sottovalutazione dei nessi cronologici (i momenti di evoluzione ed eventualmente di svolta tra le diverse posizioni non sempre risultano evidenti), e un utilizzo forzatamente esile delle fonti nel dimostrare le tesi sostenute. Pur con questi limiti, lo studio offre elementi di riflessione interessanti sul percorso di una personalità decisiva per la storia del dopoguerra, contribuendo a farla uscire da molti schematismi interpretativi del passato (si pensi alla diatriba sterile sul Fanfani «fascista»).

Guido Formigoni