Anno di pubblicazione: 2006
Negli ultimi anni, dopo le ricerche sulla «fabbrica del consenso» che hanno costituito la sfera più innovativa degli studi sul fascismo, diversi autori hanno sentito la necessità di tornare a fare un’analisi più ravvicinata dei meccanismi di sorveglianza, di repressione e di violenza. In effetti, la storiografia non dovrebbe privilegiare la «forza» o il «consenso», ma piuttosto analizzare la loro simbiosi. La marcia su Roma è un episodio centrale sia della storia politica sia della costruzione dell’immaginario del fascismo. Albanese giustamente lo inquadra all’interno del tema più generale della violenza politica.La tesi centrale, molto ben fondata, è che «la formula ?Marcia su Roma? ha oscurato sia la marcia vera e propria degli squadristi e l’entrata nella capitale, che le tante occupazioni di piccole e grandi città, e soprattutto di prefetture, uffici postali e stazioni in ogni angolo del paese», che «hanno determinato una geografia e un impatto della marcia stessa molto diversi da quelli che siamo abituati a immaginare» (pp. IX-X). L’autrice invalida, cioè, l’immagine ancora comunemente accettata di una «marcia-farsa», mostrando la vastità dell’azione periferica che era concepita come parte integrante della minacciosa pressione sul governo. Dimostra che l’incomprensione della marcia falsa la prospettiva da cui si guarda sia al movimento fascista sia agli inizi del regime, e per valutare le sue conseguenze lo studio si estende fino al 1924.Lo studio sottolinea la continuità dei disegni eversivi della destra nazionalista dall’epoca di Fiume fino alla marcia su Roma. I caratteri originali della strategia fascista, che la distinguevano dal classico «colpo di stato», erano il primato di un movimento politico per cui l’azione paramilitare era essenziale (n.b. il «partito-milizia» di E. Gentile), la conquista del potere locale e la strategia del «doppio binario» che combinava la preparazione di una forza insurrezionale con l’azione parlamentare. Il favore di una parte consistente delle forze «costituzionali» e della stampa contribuiva molto a rendere accettabile questa ambiguità. Albanese dimostra con particolare efficacia l’inadeguatezza delle interpretazioni contemporanee della marcia (riprese poi dalla storiografia) che insistevano sulla continuità delle forme costituzionali, mentre in realtà si era determinata una rottura profonda. La marcia su Roma in senso stretto, cioè l’arrivo dei fascisti nella capitale, non era una «conquista», ma nondimeno rappresentava una coreografia politica molto efficace. Giustamente, l’autrice sottolinea come le giornate della vittoria non furono caratterizzate solo dalla celebrazione rituale ma anche dalla violenza esercitata contro gli oppositori e la stampa libera.Il volume rappresenta una svolta importante negli studi sulla marcia. È un libro breve, ed è inevitabile che certi problemi ? che l’autrice non ignora ? avrebbero richiesto ulteriori approfondimenti. Tra questi, quello molto complesso dei rapporti tra fascismo e esercito, e quello dell’atteggiamento della polizia e di altri corpi dello Stato. I rapporti tra Mussolini e gli altri capi del fascismo sono un po’ trascurati, forse perché già ampiamente studiati, ma con il rischio di lasciare in ombra un aspetto essenziale della preparazione e delle conseguenze della marcia.