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Giuliano Caroli – L’Italia e il Patto balcanico, 1951-1955. Una sfida diplomatica tra Nato e Mediterraneo – 2011

Giuliano Caroli
Milano, FrancoAngeli, 287 pp., Euro 27,00

Anno di pubblicazione: 2011

Obiettivo del volume è ricostruire l’evoluzione della posizione italiana di fronte alla complessa vicenda che portò nel 1953-54 alla costituzione di un’intesa politica e militare tra due paesi membri dell’Alleanza atlantica, la Grecia e la Turchia, e un paese comunista, la Jugoslavia di Tito, in rotta con il blocco sovietico. Si tratta di un argomento già affrontato dalla storiografia italiana, la cui prospettiva interpretativa, però, secondo l’a., si è risolta soprattutto nel considerare l’atteggiamento italiano nei confronti del Patto balcanico come «una variante subordinata» (p. 12) del contenzioso italo-jugoslavo per il possesso di Trieste. L’intenzione dell’a., al contrario, è quella di restituire anche altri aspetti in grado di chiarire «l’arco completo» (p. 13) degli interessi della politica estera italiana in quel momento storico e in quel quadrante strategico. La tesi dell’a., infatti, è che la formazione dell’intesa balcanica diede alla classe dirigente dell’Italia repubblicana l’opportunità di ampliare il respiro della propria politica, nel tentativo di affrancarsi dai limiti imposti dalla politica atlantica e di verificare lo status internazionale del paese all’interno del blocco occidentale.I motivi all’origine del Patto balcanico sono noti e risiedono soprattutto nel ruolo centrale assunto dalla Jugoslavia, all’inizio degli anni ’50, nell’ambito della politica del contenimento attuata dalle amministrazioni statunitensi in funzione antisovietica. Per Washington, la rottura tra Mosca e Belgrado e il conseguente avvicinamento jugoslavo al campo occidentale, oltre ad avere un significato ideologico e propagandistico, rappresentavano un notevole vantaggio strategico perché allentavano la pressione sovietica sui confini meridionali dell’Alleanza atlantica e trasformavano la Jugoslavia in una sorta di Stato cuscinetto tra i due blocchi.Di fronte al mutato ruolo strategico della Jugoslavia e alla nuova politica americana nei confronti di Tito, le reazioni italiane – qui ripercorse puntualmente ed esaurientemente sulla base della documentazione conservata presso l’Archivio storico del Ministero degli Affari esteri italiano – furono incerte e contrastanti. Si tentò di influire su Atene ed Ankara per condizionare i negoziati, e si provò a ridimensionare l’importanza di Belgrado nelle considerazioni strategiche degli alleati occidentali. Allo stesso tempo, però, si prese in considerazione anche un’eventuale partecipazione italiana, dando vita a un serrato dibattito interno in cui vennero analizzati vantaggi e svantaggi dell’operazione. Alla fine, prevalse l’idea che la cooperazione balcanica in quei termini e in quei modi non fosse in grado di tutelare gli interessi italiani, suscitando anzi perplessità sull’efficacia militare del Patto e dubbi sull’affidabilità dei protagonisti. L’azione italiana, pur non risultando sempre del tutto coerente, né tantomeno fruttuosa, rappresentò soprattutto il primo segnale della volontà di superare la questione di Trieste, per delineare un nuovo ruolo del paese (o per recuperarne uno tradizionale) nei Balcani e nel Mediterraneo orientale.

Massimo Bucarelli