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Giuseppe Berta – La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi. 2000-2005 – 2006

Giuseppe Berta
Milano, Mondadori, 207 pp., euro 17,00

Anno di pubblicazione: 2006

Uscita all’inizio del 2006, questa storia della crisi Fiat non poteva prevedere la inattesa quanto pronta ripresa avviata sin dall’autunno. Tuttavia, il libro non è invecchiato: nonostante il titolo possa far pensare a un instant book, il lavoro di Berta rappresenta una robusta ricostruzione delle radici storiche delle difficoltà della più grande impresa privata italiana. La narrazione puntuale prende le mosse dall’accordo del 2000 con la General Motors (GM), ma l’analisi di Berta risale agli anni Settanta, all’indomani del ritorno degli Agnelli alla guida dell’impresa dopo la lunga parentesi manageriale di Valletta. La ricostruzione lungo un trentennio dei successivi assetti dei vertici aziendali serve a dimostrare la tesi di fondo: che la crisi Fiat, o meglio il suo scoppio anticipato rispetto agli altri grandi produttori occidentali nel ribaltamento dei rapporti di forza mondiali a favore delle case orientali, sia stata accelerata da fattori interni, che alla base degli errori di strategia stia in ultima istanza un modello inadeguato di governance dell’impresa, caratterizzato dalla insufficiente distinzione dei ruoli e delle prerogative della proprietà e del management. Se la put option dell’accordo con GM, giunto a ridosso dei festeggiamenti per il centenario Fiat, sembrava sottolineare la chiusura di un’epoca all’incerto aprirsi di un nuovo secolo, la scomparsa in breve arco di tempo dei due nipoti del fondatore ha reso caotica la ricerca di nuovi assetti di vertice, aggravando anziché rimuovere la principale causa delle oscillazioni delle strategie e delle carenze delle politiche aziendali, fino alla messa in campo di controverse strategie finanziarie per il mantenimento del controllo familiare, cui l’autore non risparmia critiche. Da questo punto di vista, neppure l’ultimo, vincente assetto del vertice aziendale ha risolto la questione del rapporto tra il management e una rafforzata proprietà familiare, a meno che la lezione dell’esperienza storica, assai ben ricostruita dal libro, non induca la compagine azionaria di riferimento a evitare gli errori del passato, compendiati dall’autore in un «controllo strettissimo», «non sempre chiaro nelle intenzioni e coerente» o, in alternativa, un’eccessiva fiducia nel top management «anche quando mancava uno dopo l’altro i traguardi che aveva annunciato» (p. 181). La vicenda Fiat, eccezionale per dimensioni nel panorama italiano (tanto che ? sostiene l’autore ? senza la storia di una sola impresa non si può fare la storia dell’industria italiana né delle relazioni industriali e dei rapporti tra potere economico e potere politico), rientra invece appieno, sotto il profilo della struttura proprietaria, nell’esperienza tipica del capitalismo familiare italiano. Nonostante la ripresa in atto, restano validi una previsione e un auspicio di Berta: la previsione dell’inevitabile ridimensionamento del ruolo della Fiat nell’economia nazionale ormai incamminata sulla via della terziarizzazione, e l’auspicio che la fine dell’epoca della Fiat possa aprire spazi a un maggiore pluralismo economico.

Stefano Musso