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Giuseppe Foscari – Teodoro Monticelli e l’economia delle acque nel Mezzogiorno moderno, storiografia, scienze ambientali, ecologismo – 2009

Giuseppe Foscari
Salerno, Edisud, 185 pp., euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2009

L’inverno che ci lasciamo alle spalle sarà certamente ricordato anche per le crude immagini del Sud d’Italia che frana. Alla questione del dissesto idrogeologico è dedicato questo lavoro di Giuseppe Foscari, primo prodotto editoriale dell’ampio programma di ricerca avviato dal Centro studi storia ambiente e territorio «Carlo Afan de Rivera» con la collana «Gli ambienti della storia», che mira a rileggere le vicende del Mezzogiorno alla luce della nuova centralità storiografica della questione ambientale. Affrontare il tema del dissesto idrogeologico con un approccio storico significa, anzitutto, tornare a indagare quella ricca produzione intellettuale che fra XVIII e XIX secolo offre «un contributo prezioso alla cultura e alla pratica nella gestione del territorio e delle sue primarie risorse, in particolare acqua e foreste nel Mezzogiorno d’Italia» (p. 53). A questa temperie appartiene la figura dell’abate Teodoro Monticelli (1759-1845), studioso di formazione non tecnica, «illuminista e riformatore nei metodi e nei comportamenti», autore di un trattato Sulla economia delle acque da ristabilirsi nel Regno di Napoli, qui riproposto per intero (pp. 125-172) nella terza edizione del 1829 (la prima era stata pubblicata nel 1809 e dedicata a Gioacchino Murat). Fine e ricca di argute osservazioni, la riflessione di Monticelli sulla gestione delle acque e dei boschi nel Regno di Napoli è più intrigante di quanto le note biografiche e il commento che la precedono lascino intendere. Giustamente preoccupato dei rischi di una «non appropriata storicizzazione» connessi alla problematica operazione di «vedere nel passato cose che il passato non ha visto» (p. 21), Foscari dedica forse fin troppo spazio a chiarire se la sensibilità di Monticelli possa essere ascritta a un pre o a un proto ambientalismo, se egli debba essere considerato un precursore. Che l’abate guardi alla natura come insieme di risorse a disposizione dell’uomo, come lo stesso a. sottolinea, preoccupato in primis dello sviluppo del Regno, nulla toglie alla lucidità e alla garbata ferocia del ritratto di un’economia altamente dissipativa delle risorse ambientali le cui cause Monticelli rintraccia nell’inerzia delle strutture feudali, nel prevalere del più miope interesse privato, nell’inadeguatezza del notabilato meridionale più che nell’insufficienza dell’intervento statale. Prima che responsabilità dello Stato la cui funzione è di stimolo, la cultura del territorio è, infatti, patrimonio della nazione, la cui coscienza l’intellettuale Monticelli (autore fra l’altro di un Catechismo di agricoltura e pastorizia per la pubblica istruzione de’ contadini del Regno di Napoli) vuole contribuire a formare. La sua rappresentazione dell’ambiente (risorsa ma anche habitat) come «possibilità» posta in atto dallo sviluppo civile e dalle istituzioni, rafforzata dalla chiara lettura sistemica del territorio sulla base di vasti e dettagliati spaccati topografici, non lascia spazio ad alibi di sorta e finisce col rappresentare oggi, a due secoli di distanza, un impietoso atto d’accusa.

Melania Nucifora