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Giuseppe Morozzo della Rocca cardinale e arcivescovo di Novara. La Restaurazione nel Regno di Sardegna

Giacomo Lorandi
Milano, FrancoAngeli, 201 pp., € 27,00

Anno di pubblicazione: 2016

Frutto di una tesi di dottorato, questo libro è la biografia di un personaggio che ebbe una parte di rilievo non solo nel Piemonte post 1815, ma anche nel contesto dell’Italia sospesa tra antico regime ed età napoleonica. Non si può dire che il genere biografico faccia parte della tradizione storiografica italiana; così come non si può dire che al di là delle solite celebrazioni che fanno esplodere le «mode» per certi studi (si pensi in grande al 2011 per il Risorgimento, molto più in piccolo al 2015 per la Restaurazione), il bicentenario del Congresso di Vienna sia stato occasione per un arricchimento sensibile del panorama editoriale. Questo lavoro dunque è tanto più prezioso, quanto più è in grado di gettare luce su un periodo «conteso» tra modernisti e contemporaneisti e su una geografia spazio-temporale che non interessa solo l’«angusto» Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e dell’esordiente Carlo Alberto.
Giuseppe Morozzo della Rocca, per i non specialisti di storia della Chiesa o di storia sabauda tout court, può non dire molto. Ma in realtà questo presule, appartenente a uno dei più cospicui e antichi casati del Piemonte, zio del celeberrimo Massimo d’Azeglio (che gli dedicò affettuose quanto vivaci pagine nei Ricordi), ebbe la fortuna di essere protagonista dei suoi «calamitosi» tempi. La sua azione dunque è inserita pienamente all’interno della nuova dialettica tra poteri, temporale e spirituale, che fu all’ordine del giorno tra ’700 e ’800. Partendo dall’esigenza di tornare a riflettere su un cursus honorum cristallizzato dalla bibliografia encomiastica, alla luce della nuova documentazione archivistica emersa (in primis presso il fondo familiare conservato all’Archivio di Stato di Torino, poi nelle carte vaticane e diocesane) l’a. tratteggia tutta una serie di problemi di natura politica e sociale più generale, connaturati nelle vicende di un piemontese in talare che compì la sua formazione a Roma e fu al servizio del pontefice (e del suo re) in lustri non proprio facili per la Chiesa. Ecco dunque Morozzo vicelegato a Bologna nel biennio 1784-1785; poi governatore di Civitavecchia dal 1785 al 1794; infine governatore di Perugia fino all’arrivo dei francesi.
Ma da posizioni provinciali ben presto Morozzo fu proiettato al centro della scena, dapprima al conclave di Venezia del 1799, poi alla corte reale di Etruria come nunzio apostolico tra 1802 e 1806, prologo al ritorno a Roma come visitatore apostolico. A parte l’intermezzo della breve cattività francese e del «ritiro» a Torino dopo l’annessione di Roma all’Impero, fu alla Restaurazione che Morozzo assunse un ruolo determinante, tanto più in una Chiesa che andava «epurata» e rifondata. Per questo l’a. dedica spazio al Morozzo membro della congregazione dei «disordini» e alla sua azione, ultradecennale (dal 1817 al 1842), al governo di una diocesi di «confine», quella di Novara, interessata dalla riforma del clero. È un libro dalla scrittura asciutta ma che arriva dritto al problema.

Pierangelo Gentile