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Glenda Sluga – The problem of Trieste and the Italo-Yugoslav border: difference, identity, and sovereignty in twentieth-century Europe – 2001

Glenda Sluga
New York, SUNY Press, pp. XV-261, $ 16,95

Anno di pubblicazione: 2001

L’autrice, docente presso l’università di Sidney, si è proposta di esaminare il problema di Trieste nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Dopo il collasso del regime fascista e l’entrata delle truppe jugoslave e alleate a Trieste, le élites triestine riproducono e diffondono attivamente una immagine risalente al secolo precedente, quando Trieste era rappresentata come luogo d’incontro delle tre principali razze d’Europa, e la popolazione slava era dipinta come inferiore perché senza stato e senza cultura nazionale, paradigma di una Europa orientale diversa primitiva e caotica.
L’italianità propugnata dalle élites borghesi triestine trovò quindi un potente alleato politico; l’anticomunismo degli angloamericani si sposò perfettamente al nazionalismo borghese (con latenze fasciste) dell’establishment triestino. In un clima di crescente tensione e sfiducia con gli alleati comunisti, il modo di vita degli ?Slavi? apparve sempre più estraneo ad una british or american way of life. La ?costruzione delle identità? seguì quindi una matrice nazionalistica nonostante gli sforzi opposti da parte delle autorità jugoslave, e trovò gli angloamericani stessi intrappolati in una concezione tipica della borghesia triestina che contrapponeva italiani? a ?montanari slavo comunisti?. La questione di Trieste si ridusse così a un problema di equa spartizione di confini tra nazioni e del relativo trattamento della ?minoranza slava? all’interno di una ?città italiana?. A prova dell’artificiosa forzatura dell’interpretazione nazionalistica del conflitto per Trieste stanno, secondo la Sluga, le molteplici e contrastanti identità politiche dell’ambiente politico cittadino. All’autrice appare che la concezione della nazione e dell’identità degli iugoslavi usate per argomentare le loro pretese su Trieste fossero più in sintonia con una visione pluralistica delle identità.
Ed è proprio questa conclusione che rivela i limiti di questo studio, per altri versi originale e basato su un innovativo utilizzo delle fonti. Mancano verifiche sul campo delle attività dei comandi jugoslavi che, presumibilmente, dovevano avere qualche influenza presso la popolazione locale slovena. L’autrice utilizza fonti orali, diari, testimonianze che riguardano soprattutto esponenti del fascismo triestino, antifascisti locali o personale militare angloamericano. Risultano del tutto assenti note sulle disposizioni dei comandi partigiani jugoslavi e la propaganda condotta dai loro organi di governo. Si trascura altresì che un’ideologia espansionista jugoslava nei confronti dell’Istria e Trieste si era già articolata e diffusa prima la prima della guerra mondiale, soprattutto presso la borghesia slovena e croata. In Istria e a Trieste la ?costruzione dell’altro? da parte degli organi di potere jugoslavi mostra una precoce e sbrigativa identificazione dell’italiano con fascista che sicuramente non avrebbe aiutato la costruzione di una comunità organizzata su basi alternative a quelle nazionali.

William Klinger